Venduti a un gruppo di egiziani, uccisi e usati per la vendita degli organi: è la tremenda sorte dei migranti che non hanno il denaro necessario a pagare il viaggio verso le coste italiane.

A raccontarlo è il primo pentito di una rete criminale che gestisce il traffico dei migranti: “mi è stato raccontato – ha detto agli investigatori della Dda di Palermo che oggi hanno fermato 38 componenti dell’associazione criminale in un’operazione denominata Glauco 3- che le persone che non possono pagare vengono consegnate a degli egiziani che le uccidono per prelevarne gli organi e rivederli in Egitto per una somma di 15mila dollari.
Gli egiziani vengono attrezzati per espiantare l’organo e trasportarlo in borse termiche”.

L’indagine della Procura di Palermo, che oggi ha fermato 38 persone accusate di far parte di una delle maggiori reti criminali che gestiscono il traffico di migranti tra l’Africa e l’Italia, è la prosecuzione dell’inchiesta denominata Glauco che va avanti da tre anni e ha già portato a diverse condanne.
In questa terza tranche sono confluite le dichiarazioni del primo pentito di un network criminale del genere: Nuredin Atta Wehabrebi. Atta collabora con la dda di Palermo da un anno e mezzo e ha parlato dei vertici dell’organizzazione criminale, ma soprattutto di come la rete gestiva la permanenza dei profughi. Dall’arrivo in Sicilia al loro trasferimento nel nord Italia e nel nord Europa.

“Con questa indagine abbiamo raggiunto un livello più alto nella lotta all’immigrazione clandestina e abbiamo individuato il canale finanziario della rete criminale che gestisce il traffico dei migranti dall’Africa alla Sicilia e che aveva a Roma e a Palermo due centrali di snodo”.

Lo ha detto il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi che ha coordinato l’indagine che ha portato all’emissione di 38 fermi – uno solo nei confronti di un italiano – accusati di essere appartenenti a un’associazione criminale che gestiva il traffico di migranti. L’indagine, che si basa anche sulle dichiarazioni di un pentito, è la prosecuzione di un’inchiesta avviata dopo il tragico naufragio del 2016 a Lampedusa.

“In un bazar a Roma – ha aggiunto Lo Voi – abbiamo trovato 500 mila euro in contanti e decine di migliaia di dollari più una serie di nomi e numeri di telefono. Era il luogo in cui venivano raccolti i soldi dei migranti che volevano raggiungere l’Italia”.

Dall’inchiesta è emerso che l’organizzazione al viaggio sui barconi preferiva i falsi ricongiungimenti familiari consentiti dalla legge italiana. “Un modo più costoso, ma più sicuro -. ha spiegato il procuratore, per cui, grazie a false attestazioni di extracomunitari residenti in Italia, i migranti riuscivano a venire nel nostro Paese e ricongiungersi con i sedicenti parenti”.

“Nell’indagine sulla rete di trafficanti di uomini abbiamo usato le stesse tecniche investigative che usiamo nelle inchieste di mafia. Chiaramente in questi casi le difficoltà sono maggiori perché ad esempio nelle intercettazioni abbiamo bisogno di interpreti visto che gli indagati parlano lingue straniere o dialetti”.

Lo ha detto il capo dello Sco Renato Cortese alla conferenza stampa in cui sono stati illustrati i particolari dell’indagine che ha portato all’emissione dei fermi di alcuni appartenenti a una rete di trafficanti di migranti. “L’obiettivo ora – ha aggiunto – è puntare a capire come gli enormi guadagni della organizzazione vengano reinvestiti”.