La Dda di Palermo ha avviato nuovi accertamenti sull’omicidio di Piersanti Mattarella, l’ex presidente della Regione siciliana e fratello del Capo dello Stato Sergio Mattarella, assassinato nel giorno dell’Epifania nel 1980 a Palermo da sicari rimasti senza nome.

I nuovi approfondimenti su chi sparò a quello che era considerato l’erede di Aldo Moro, come scrive la Repubblica, prendono spunto da una targa e riaprono la pista ‘nera’ già seguita da Giovanni Falcone che portò a giudizio Giusva Fioravanti che fu però assolto da una corte di assise.

Il killer sparò con una pistola a Piersanti Mattarella e poi fuggì, salendo su una Fiat 127 dove l’aspettava un complice, anche lui rimasto senza nome. La pista neofascista, a partire dal ritrovamento nel 1982 di spezzoni di targhe in un covo dell’estrema destra a Torino, fu ipotizzata già nel 1989 dal giudice Loris D’Ambrosio in un report finito adesso, informa ancora Repubblica, alla Procura generale di Bologna che ha avocato a sè l’inchiesta sulla strage della stazione del due agosto 1980. I familiari delle vittime ritengono ci siano “elementi di prova che collegano come mandanti del delitto Mattarella e della strage di Bologna la P2 e spezzoni deviati dei servizi”. In questi ultimi mesi sono apparse sempre più visibili alcune tracce che i magistrati del procuratore capo Francesco Lo Voi stanno seguendo con attenzione, collegando informazioni che erano state sottovalutate o scartate. Una riguarda proprio quella targa, o meglio gli spezzoni di una targa ritrovati il 26 ottobre del 1982 – due anni e dieci mesi dopo l’omicidio di Mattarella – nel covo ‘nero’ di Torino. In un appartamento di via Monte Asolone, i carabinieri trovarono due targhe tagliate. Un primo spezzone aveva la sigla “PA” (come Palermo) e il secondo “PA 563091”.

Sono gli stessi numeri, ma composti diversamente, rimasti agli assassini di Piersanti Mattarella, che avevano utilizzato due targhe rubate per camuffare la Fiat 127 del delitto. Il giorno prima dell’omicidio, i killer avevano prelevato la 127 targata “PA 536623”. E sempre quel giorno, il 5 gennaio 1980, avevano asportato da una Fiat 124 una targa con questa sigla: “PA 540916”. Poi avevano “costruito” una nuova targa, con i numeri delle altre due: “PA 546623”, rimasta attaccata alla Fiat 127 abbandonata dopo il delitto. Dunque, ai sicari erano rimasti questi spezzoni: “PA 53” della prima targa e “0916” della seconda. Quindi, “PA 530916”. A Torino i carabinieri trovarono nel covo ‘nero’: “PA563091”. Come se l’ultimo numero, il 6, fosse stato spostato di posizione e inserito subito dopo il 5 iniziale. “Una coincidenza che ha aspetti di stupefacente singolarità”, scriveva Loris D’Ambrosio, grande esperto di indagini sulla destra eversiva, nel corposo dossier sul delitto Mattarella partendo proprio da quelle targhe e avanzando l’ipotesi che ad uccidere il presidente della Regione siciliana fossero stati proprio i neofascisti.

“C’è un filo che lega i delitti del presidente Piersanti Mattarella, del giudice Mario Amato e la strage di Bologna”. Lo afferma in un’intervista a Repubblica Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime dell’esplosione alla stazione bolognese, e deputato Pd. In quel 1980, dice, “i killer neri erano legati alla P2 e ad ambienti deviati dei servizi segreti”. In un rapporto del giudice Loris D’Ambrosio, risalente al 1989, che indicava una pista precisa da seguire, afferma Bolognesi, c’erano “preziosi spunti di indagine” che “non sono stati mai approfonditi. È venuto il momento di farlo”. “Intanto, bisognerebbe digitalizzare gli atti di tutte le inchieste e di tutti i processi che hanno cercato di fare luce sulle stragi italiane. È fondamentale uno sguardo d’insieme. I ministri Orlando e Franceschini avevano firmato un protocollo d’intesa per creare un archivio digitale dei processi, ma nulla è stato ancora realizzato”. Bene la direttiva firmata nel 2014 da Renzi per la desecretazione dei documenti che potrebbero riguardare le stragi, aggiunge, “ma il problema è che oggi una serie di archivi importanti non ci sono più. Ad esempio, quelli della Marina e dell’Aeronautica, relativi al periodo 1980-1987, avrebbero potuto dire molto sulla strage di Ustica. Ci sono altri archivi, quelli dei servizi di sicurezza, che restano inaccessibili”. “Come deputato del Pd ho fatto parte della commissione parlamentare d’inchiesta sul delitto di Aldo Moro. In questa veste, ho chiesto ai rappresentanti dei Servizi convocati in commissione i fascicoli personali dei componenti della cosiddetta Gladio nera, il Nucleo di difesa dello Stato ufficialmente sciolto nel 1973, di questa struttura ci aveva parlato il generale Inzerilli. Ebbene, i rappresentanti dei Servizi hanno detto alla commissione che ci sono problemi di privacy e che quelle schede non possono essere consegnate. La ritengo una risposta inaccettabile”