- Figli non riconosciuti alla nascita, oggi vi raccontiamo la storia di Renato
- Il pensionato palermitano di 63 anni vuole conoscere l’identità della propria madre biologica
- “Spero che sia ancora in vita”, dice
“Voglio soltanto conoscere le mie origini e sapere da chi sono nato. Non pretendo nient’altro. Credo sia un mio diritto. Quando penso alla mia vicenda avverto una sensazione di vuoto, mi piacerebbe ‘chiudere il cerchio’. Malgrado le innumerevoli difficoltà oggi ho una bella famiglia, della quale sono molto orgoglioso ma è come se mi mancasse una tessera del puzzle”.
Renato, 63 anni, è un pensionato palermitano dall’ampio sorriso e lo sguardo sereno.
E’ un marito, padre e nonno felice. E’ un uomo che si è fatto da sé, che ha svolto innumerevoli mestieri per mantenere la propria famiglia, costruita con tanti sacrifici con la compagna di tutta la vita che definisce “una donna meravigliosa”.
Oggi vi raccontiamo la sua storia, quella di un figlio adottivo alla ricerca della propria madre biologica.
Poche le informazioni disponibili
Renato è venuto al mondo il 10 ottobre del 1958 all’ospedale Civico (allora si chiamava ospedale Filiciuzza) di Palermo alle 15.30 da una “donna che non consente di essere nominata”. E’ quanto si desume dal suo estratto di nascita, del quale è venuto in possesso nel 2015. Non sono molte le informazioni delle quali dispone in merito alla propria nascita.
Certo è che la sua madre biologica ha rinunciato a tenerlo con sé.
Sempre nel documento, si legge, che Renato viene registrato all’anagrafe da una infermiera quattro giorni dopo la nascita, quindi il 14 ottobre del 1958. Gli viene dato un nome fittizio, Renato Giardina.
Dopo la registrazione all’anagrafe, viene affidato alle cure dell’Istituto di Assistenza all’Infanzia di via Lancia di Brolo a Palermo dove rimane per qualche mese.
Tanti sospetti, nel 2015 una certezza
“Ho avuto la conferma ‘ufficiale’ di essere stato adottato – dice Renato a BlogSicilia – solo nel 2015, all’età di 57 anni. Immaginate quanto sia stato emotivamente forte per me. Ho dovuto mettere alle strette la mia madre adottiva, che aveva sempre negato. Mi ha detto che era vero, che ero stato adottato. Poi ha raccontato un sacco di storie assurde, quelle che io reputo fesserie ma non mi ha mai spiegato come erano andate veramente le cose. Era molto anziana e malata, quindi io non ho insistito più di tanto, ci ha lasciati nel 2018, mentre papà è morto nel 1979”.
Eppure per Renato, nel corso degli anni, erano scattati diversi campanelli di allarme.
Come accade spesso in tante storie di adozioni, anche lui ha dovuto fare i conti con mezze verità e frasi sussurrate.
Nel 1984 quella che lui definisce “la prima pulce nell’orecchio”. Un giorno in banca incontra una conoscente, che le presenta una parente alla lontana. La donna dice qualcosa in merito al fatto che lui è un figlio adottivo.
Renato rimane un poco turbato, ma poi, racconta, “forse non ho creduto alle sue parole o non ci ho pensato più, non mi interessava approfondire, tutti i miei sforzi erano rivolti a portare avanti la mia famiglia, alla quale mi sono sempre dedicato con grandi energie”.
Intorno alla metà degli anni Novanta, una sorta di mezza ‘ammissione’ da parte della madre, con la quale i rapporti non sono semplici. “Mi voleva un gran bene – dice Renato – ma era una donna troppo autoritaria, e nella sua visione del mondo voleva forse proteggermi dal mio passato, anche con un atteggiamento egoistico. L’ho più volte rassicurata dicendole che se mi avesse raccontato la mia storia non sarebbe accaduto niente di male a nessuno. Ebbene, non ha mai voluto farlo”.
Nel 1978 un precedente, al quale Renato non dà alcun peso, “ho capito solo dopo anni”, puntualizza.
Deve sposarsi e gli serve il certificato di battesimo. Si reca alla chiesa dove è stato battezzato, fornisce la sua data di nascita e dice al sacerdote, che deve rilasciargli il documento, di cercare nei registri dall’ottobre del 1958 in poi. Il sacerdote non trova nulla se non dopo una faticosa e lunga ricerca. Renato scopre di essere stato battezzato nel novembre del 1959, all’età di 13 mesi. “La cosa mi ha insospettito – dice – perché di solito i bambini ricevono il battesimo a pochi mesi di vita. Anche allora – aggiunge – non ci ho più pensato. Ho le foto del giorno del mio battesimo, adesso so per certo che quando sono stato battezzato, vivevo già con i miei genitori, anche se la mia adozione risale all’agosto del 1960, avevo quasi due anni”.
Il silenzio
Un tema complesso e delicato quello delle adozioni. Renato, in passato, si è anche rivolto ad un avvocato, ma la “legge dei 100 anni”, che impediva al figlio di conoscere l’identità della madre prima del centesimo anno dal parto ha rappresentato, come per tutti i figli adottivi, un ostacolo non indifferente.
Oggi la legge prevede che il figlio adottivo che voglia risalire alla propria madre biologica faccia istanza di interpello presso il tribunale dei minori del luogo di residenza. Il tribunale contatta “con la massima riservatezza” la madre che al momento del parto non ha consentito di essere nominata per valutare se permanga nella donna il proposito di mantenere l’anonimato.
Renato sta valutando se presentare la propria istanza. “C’è una cosa – dice ancora – che mi fa molto male. Tutti sapevano che ero stato adottato tranne io. I miei figli lo hanno saputo da mia madre prima di me, però lei imponeva il silenzio. Ha detto che ero un figlio adottivo persino a mio genero. Anche mia moglie lo ha sempre saputo.
Secondo me è sbagliato che nessuno mi abbia mai detto niente. Sapendolo prima, avrei potuto iniziare le ricerche e magari ottenere qualche informazione utile da qualcuno che forse conosceva la mia storia. Invece adesso i miei parenti sono tutti morti: ho solo un cugino molto più anziano di me, al quale non chiedo nulla perché non voglio disturbare nessuno”. E ancora: “I miei genitori erano molto tradizionalisti, mi sembra strano anche il fatto che abbiano mantenuto il mio nome, Renato. Mio nonno si chiamava Vito, ed anche io avrei dovuto portare quel nome.
Non so perché abbiano scelto di non cambiare il mio nome. Inoltre, mia madre, durante una nostra accesa discussione, mi aveva detto che quando le sono stato dato in affidamento, le avevano consegnato una sorta di cartolina-ricevuta con i miei dati che lei aveva per tanti anni custodito gelosamente ma poi buttato via per timore che io potessi risalire alla mia mamma biologica. Quando penso a questa cosa provo una sensazione di rabbia, non è giusto”.
Tante ipotesi
Nel corso degli anni Renato ha fatto numerose ipotesi sulla propria madre biologica. “Come dico sempre ai miei figli – racconta ancora – potrebbe essere una regina come una prostituta, la cosa è irrilevante. Per me è una santa donna, perché ha portato avanti una gravidanza e mi ha messo al mondo”.
Tante anche le domande che Renato si pone. “A quei tempi – dice – si nasceva prevalentemente in casa. Invece io sono nato in ospedale. Questo mi fa pensare che forse la mia mamma biologica proveniva da una famiglia di ceto medio, ma non lo so. Non ho alcuna certezza. Forse ha avuto dei problemi durante la gravidanza per cui è stato necessario assisterla in ospedale”.
La mamma biologica
Chiediamo a Renato se abbia mai provato ad immaginare la sua mamma biologica. “Certo – risponde – e anche in questo caso le mie ipotesi sono tante. A volte penso che magari era una minorenne, e che i suoi genitori, dal momento che in quegli anni una gravidanza fuori dal matrimonio equivaleva ad uno scandalo, l’abbiano costretta a darmi in adozione. Non so cosa sia accaduto 63 anni fa. Forse è stata abbandonata da mio padre, forse è stata vittima di una violenza. Penso a tante cose. Per questo vorrei sapere chi mi ha messo al mondo ma senza sconvolgere la vita di nessuno”.
La ricerca
Renato cerca la propria mamma, come già detto, ma la sua grande sensibilità gli impone di farlo con le dovute cautele. “Io spero che sia ancora in vita – conclude -, penso che se all’epoca era minorenne o comunque molto giovane potrebbe oggi avere dai 78 anni in su. Non voglio o pretendo nulla da lei, solo poter sapere chi è. Non so se ha mantenuto il segreto sulla mia nascita, se si è risposata, se ha un’altra famiglia che magari non sa nulla della mia esistenza.
Non so neanche se ho fratelli o sorelle e mi piacerebbe scoprirlo.
A volte penso che magari li ho incontrati per strada e non lo so. Insomma, è come se mi mancasse qualcosa…”.
Chi avesse informazioni relative alla storia di Renato, o volesse condividere con lui esperienze o osservazioni, può contattarlo scrivendo al suo indirizzo mail renatogb@libero.it.
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