La notizia irrompe come un fulmine anche se non proprio a ciel sereno sulla città di Palermo. Ad un anno di distanza dalla prima “contestazione” al Comune di Palermo, l’autorità garante della concorrenza torna a bocciare due aziende partecipate della città e a ritenere, in giustificato, il mantenimento dei servizi in house.

La normativa

Per comprendere meglio la contestazione dell’Autorità basti ricordare che la nuova normativa dispone, ormai da anni, la dismissione delle società partecipate. Per mantenere la partecipazione o, addirittura, il controllo totale di una società, le amministrazioni devono dichiararle strategiche. E per essere strategiche devono garantire servizi di elevata qualità o a costi contenuti tali da non giustificare il ricorso al mercato.

La contestazione dell’Autorità

Secondo la relazione dell’Autorità nazionale per la garanzia della concorrenza, così come riporta il Giornale di Sicilia in edicola oggi, due partecipate dichiarate strategiche dal Comune di Palermo, ovvero la Rap e l’Amat, rispettivamente servizi ambientali e trasporti urbani, non rispettano i canoni per tale dichiarazione. Già lo scorso anno l’Autorità aveva contestato l’utilizzo di società in house per questi servizi ed il Comune aveva risposto annunciando correttivi nei nuovi contratti di servizio.

Rap e Amat inefficienti e troppo costose

Nelle dieci pagine della nuova relazione l’Autorità sostiene che gli annunciati correttivi non si vedono, che le due società relegano Palermo agli ultimi posti italiani per qualità dei servizi resi e sono entrambe esageratamente costose oltre ad essere inefficienti. Per questo non ha alcun senso la dichiarazione di “strategicità” e il man tenimento dei servizi “in house”. Il Comune deve dismettere la partecipazione (nel caso specifico significherebbe chiudere le due aziende essendo il Comune socio unico) e mettere i servizi a bando pubblico quindi assegnarli ai privati in base alla miglior offerta economica e qualitativa.

Non avverrà mai

Una cosa che, probabilmente, non avverrà mai. Gestire i licenziamenti di massa o, nel rispetto della normativa, applicare la clausola di salvaguardia e dunque l’obbligo del nuovo appaltatore ad utilizzare il medesimo personale, causerebbe una vera e propria rivolta. In primo luogo perché probabilmente non tutti troverebbero posto in una gestione privatistica dei servizi sia pure in appalto. in seconda istanza perché il dipendente che si considera pubblico (sia pure con un contratto di diritto privato) mai e poi mai accetterà di diventare dipendente privato a tutti gli effetti.