“Vinci l’indifferenza, conquista la pace” e’ il titolo del Messaggio del Papa per la giornata della pace di quest’anno. Un messaggio commentato da don Luigi Ciotti con un intervento che qui riportiamo come messaggio augurale ai nostri lettori per il nuovo anno.

“Vinci l’indifferenza, conquista la pace” Sono parole che scuotono e fanno pensare, quelle di Papa Francesco sulla pace. Il suo non è un generico invito alla pace, ma un’analisi puntuale e stringente su cosa significhi realizzarla.

All’inizio, come a fugare equivoci o interpretazioni di comodo, Francesco ci dice che “la pace è dono di Dio e opera degli uomini”. È un dono, insomma, che implica al tempo stesso gratitudine e responsabilità, un dono che è tale solo se lo condividiamo, se non ne facciamo un possesso, se lo rendiamo un bene sociale e se possibile universale.

Se non c’è questo impegno, questa assunzione di responsabilità, il parlare di pace rischia di diventare un esercizio accademico, se non ipocrita. Ecco allora che la pace, nella prospettiva di Francesco, è il contrario del quietismo, dello “starsene in pace”. La vera pace incomincia da un risveglio spirituale che ha immediate conseguenze pratiche, che chiede di incarnarsi in scelte, gesti, azioni, e che chiama in causa sia il nostro essere persone che il nostro essere cittadini.

Siamo operatori di pace quando siamo attenti al nostro prossimo, non voltando lo sguardo ai suoi bisogni, alle sue fragilità. E lo siamo quando promuoviamo il bene comune, saldando il cielo e la terra, la dimensione spirituale con l’impegno sociale.

Per questo il Papa pone grande attenzione al problema dell’indifferenza, forse il più grande e “agguerrito” ostacolo al cammino di pace.
Sottolinea come questa malattia spirituale anestetizzi i cuori e addomestichi le coscienze. E ci ricorda i suoi tanti volti: l’indifferenza verso Dio, l’indifferenza verso gli altri, l’indifferenza verso il Creato, la nostra casa comune sfruttata e sfregiata. Volti che però sono altrettante maschere dell’io, della sua sete di conquista e di possesso. Qui sta la radice dell’indifferenza, e da qui nascono le rapine di bene comune – frutto di disegni criminali, ma anche economico-finanziari – causa di disuguaglianze, ingiustizie, sfruttamento, povertà, e, certo, anche guerre, perché se a prevalere è la volontà di conquista i conflitti sono inevitabili.
Come costruire allora la pace?
Il Papa ha sempre sottolineato le responsabilità dei potenti in quella che senza mezzi termini chiama una «terza guerra mondiale a pezzi». Ha instancabilmente denunciato l’inerzia di certi organismi internazionali o la subordinazione di gran parte della politica a quello che nella Laudato sì chiama il “paradigma tecnocratico”, l’egemonia del “libero mercato”, dove libero viene inteso come irresponsabile, arbitrario, incurante del bene comune.

Ma in una prospettiva di speranza, denunciare è il primo passo, riconoscere il positivo il secondo, mettersi in gioco per realizzarlo il terzo. Ecco allora che Francesco ci invita a “non perdere la speranza nella capacità dell’uomo, con la grazia di Dio, di superare il male e a non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza”.

E cita recenti pagine positive come il summit sull’ambiente a Parigi (un passo in avanti se il vincolo degli accordi sarà compensato da un supplemento responsabilità da parte di chi è tenuto a realizzarli); o lo slancio della Chiesa, nel cinquantenario del Concilio Vaticano II, di «spalancare le finestre» e di favorire una più aperta comunicazione con il mondo.

Ma anche ricorda, il Papa, le “numerose iniziative e azioni che testimoniano la compassione e la solidarietà”. Iniziative di quelle realtà, dentro e fuori la Chiesa, che ribellandosi alla “globalizzazione dell’indifferenza», e testimoniando una «misericordia corporale e spirituale”, presiedono le periferie geografiche e esistenziali dove le persone più indifese – migranti, carcerati, donne, malati, disoccupati – non soffrono solo di bisogni trascurati, ma di diritti negati, vite non riconosciute nella loro dignità.

È questo abitare le periferie il primo passo della costruzione di pace, la base di una civiltà più umana e di una società della prossimità, dove le persone non siano strumento di profitto, e il benessere di pochi non voglia dire la povertà, la disperazione, la morte di tanti altri.
Ma l’ammirazione per questi esempi di generosità e di accoglienza incondizionata – cioè di Vangelo – non deve fungere da alibi, non deve innescare meccanismi di delega.

L’impegno per la pace riguarda ciascuno di noi e chiama in causa la nostra etica – il “come” e il “perché” viviamo – in ogni ambito dell’esistenza: nella famiglia, nella scuola, nelle relazioni, nelle professioni.

Perché pace, in fondo, non è nient’altro che questo camminare insieme alla ricerca di verità e giustizia. Un impegno collettivo per costruire una Casa comune dove ci riconosciamo diversi come persone e uguali come cittadini.

 

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