In cinquecento fra studenti medi, universitari e lavoratori contestano la presenza del premier Matteo Renzi.

Giunti alla fine della manifestazione davanti il Teatro Massimo, “il cordone di polizia – fanno sapere gli studenti – ha caricato i manifestanti presenti in piazza per contestare la presenza del premier a questa inutile passerella politica”.

Silvia Fabra del Collettivo universitario autonomo spiega le ragioni della protesta: “La militarizzazione di tutto il centro storico ha rovinato l’immagine della città e la passeggiata serena delle famiglie palermitane, solo per far parlare il Premier in merito alla sua campagna elettorale.
Stamattina, con un determinato e numeroso corteo di studenti medi, universitari, professori e lavoratori è stato contestato il presidente del consiglio Matteo Renzi intervenuto, su invito del Rettore Micari, all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Palermo al Teatro Massimo.

Anche nella serata di ieri il premier, presente ad un’iniziativa a sostegno del Si al referendum sulla riforma costituzionale presso il Teatro Santa Cecilia, è stato contestato con fischi e cori dai cittadini palermitani. Tali reazioni e manifestazioni di dissenso sono un segnale forte di opposizione alle politiche del governo Renzi e del Pd che giunge puntuale nel No sociale ad una riforma costituzionale perfettamente coerente e funzionale alle sue politiche antipopolari. Questo No ha in Renzi il suo nemico principale.

Dopo ormai due anni – continua Fabra – assistiamo ad una fase senza crescita economica, l’aumento dei licenziamenti e il sostanziale immobilismo delle politiche riformatrici del governo che rimangono di fatto solo sulla carta. Per quanto riguarda il mondo della formazione e la passerella che oggi si voleva inscenare, chiunque si trova a vivere il mondo della formazione pubblica, scuola o università che sia, sa perfettamente quanto in miseria si trovi oggi l’intero sistema.

Gli studenti universitari e delle scuole stanno rappresentando l’ultimo baluardo sulla strada della definitiva privatizzazione di scuole e università; delle diseguaglianze sociali nell’accesso e nelle possibilità di studio; delle diseguaglianze territoriali tra nord e sud; dello sfruttamento gratuito delle capacità dei giovani di tutto il paese; dello svuotamento dei programmi di studi; della precarizzazione della ricerca e dell’insegnamento. Ma se da una parte c’è chi si mobilita dall’altra c’è chi si autocelebra, come la nuova classe dirigente italiana; sostengono che sì la situazione è migliorabile ma esattamente proseguendo lungo questi stessi binari. Matteo Renzi, Stefania Giannini, Davide Faraone, Partito Democratico (in tutte le sue emanazioni anche giovanili nelle scuole e nelle università), Conferenza dei Rettori universitari italiani CRUI, Ministero dell’istruzione… tutti complici dello smantellamento del diritto all’istruzione; complici nella trasformazione dei luoghi del “sapere” in luoghi del “profitto”; complici delle banche e dei loro interessi, di Berlusconi e della Gelmini. Appare evidente come in questa complicità i colpevoli siano tanti e non da adesso.

Dalla riforma Ruberti, a quelle della Gelmini, passando per Berlinguer e Moratti, è stato tolto di volta in volta un mattoncino ai pilastri fondanti dell’intero sistema fino alle macerie dell’oggi. Alla continua riduzione dei finanziamenti si accompagna la progressiva concentrazione di questi su quegli atenei considerati d’eccellenza, a discapito delle università considerate non-meritevoli. Palermo è tra queste.

Il trend è ormai chiaro: privatizzare il mondo dell’istruzione, renderlo produttivo per i privati, trasformarlo da diritto inalienabile a privilegio per i ricchi. Basti guardare le statistiche ufficiali sulle differenze territoriali legate a: flusso dei finanziamenti; flussi migratori; distribuzione dei fondi di ricerca; assunzioni e numeri di impiegati; costi d’accesso. In Italia, nel 2015, lo stato ha investito sull’università appena 7 miliardi (sono 26 quelli investiti in Germania, per esempio). Di questi la maggior parte sono destinati a poli universitari del nord Italia. La continua riduzione del Fondo di Finanziamento delle università ha colpito inesorabilmente la maggior parte degli atenei meridionali. A Palermo, nel giro di sette anni (2008-2015) il finanziamento si è ridotto del 30% arrivando ad appena 192 milioni nello scorso anno. Questo si è tradotto per esempio in drastico crollo del numero degli impiegati al Mezzogiorno (legato ai cosiddetti “punti organico”). Stesso discorso vale se guardiamo ai fondi per la ricerca, in particolari ai noti progetti PRIN. Nell’ultimo settembre i progetti sono stati 300;

I fondi stanziati 92 milioni. Di questi il 45% è finito alle università del nord, il 30% al centro, appena il 20% al sud. I progetti approvati per Palermo sono appena 4, 12 in tutta la Sicilia. Circa settecento ricercatori, negli ultimi anni, sono stati trasferiti “d’ufficio” verso atenei del nord Italia. Per completare il quadro, dal 2011 al 2015, il contributo di funzionamento destinato alle regioni è sceso da 24 a 14 milioni. Ciò ha drasticamente inciso sulle possibilità per gli enti regionali di erogare soprattutto le borse di studio e servizi collegati quali gli alloggi. In Sicilia tre studenti su quattro non possono accedere alle borse di studio pur avendone diritto. Questa sfilza di dati ci consegna un quadro disastroso. Nella sostanza si è venuta a creare quella differenziazione tra università di serie A e università di serie B.

Il rettore Micari  – conclude Fabra – non ha alcuna percezione dei bisogni e delle necessita degli studenti: in occasione del primo giorno dei test d’ingresso affermava che “è normale che gli studenti provino più di un test d’ingresso se vogliono essere certi di accedere all’università”. A noi viene da chiederci, invece, è normale che fino all’anno scorso l’ateneo palermitano era l’unico con la totalità dei corsi a numero programmato? è normale che il costo dei test d’ingresso da noi sia trai più alti in Italia? Sarà vero che le iscrizioni sono aumentate, resta il fatto, però, che a Palermo molti sono i giovani che non possono iscriversi all’università e altrettanti quelli che decidono di formarsi altrove. Come, insomma, dicevamo prima non è che frutto di certe politiche il fatto che, dati SVIMEZ, nel 2014 il 25% degli studenti meridionali abbia scelto atenei fuori dalla propria regione e che dal 2008 al 2012 ci sia stata una diminuzione del 19,7% degli studenti universitari al sud. E non è un caso che dal 2010 al 2015 gli iscritti a Palermo siano passati da 65mila a poco più di 40mila. Ma le preoccupazioni del rettore sono altre. Organizzare parte della campagna elettorale del Premier Renzi, capo di un governo responsabile dei processi di svuotamento dell’ateneo palermitano e della cancellazione del diritto allo studio, responsabile della distruzione del mondo del lavoro e del mondo della formazione. Ma oggi a Palermo non è stato permesso a questi parassiti di raggirare chi vive l’università delle macerie o chi ogni giorno frequenta delle scuole trasformate in aziende, non è stata concessa loro alcuna passerella”.

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