Raramente si era vista una campagna con così pochi spunti da parte dei due candidati delle principali coalizioni. Roberto Lagalla sembra essere schiavo di una clessidra della quale osserva con sempre maggiore ansia lo scorrere dell’ultimo granello di sabbia: si è limitato a svolgere il compitino del candidato favorito, che fa di tutto per evitare di accendere la campagna elettorale, puntando tutto sul voto di apparato. Non un claim forte, non una campagna di comunicazione social. Correttamente, c’è da dire, Lagalla ha difeso tutti i suoi alleati, soprattutto Cuffaro. E’ stato un comportamento da leader e gli va riconosciuto. Non lo ha fatto solo con Salvini, con il quale si è guardato bene di farsi vedere troppo in giro. Una grande caduta, però, Lagalla l’ha avuta lunedì, quando per rincorrere Conte ha sconfessato tutto il centrodestra nazionale sul reddito di cittadinanza, beccandosi rimbrotti un po’ da chiunque.

Dalle parti di Miceli un disastro a partire dal primo slogan “sarò Franco” che ricordava il libro di un attore porno e poi frettolosamente sostituito da un ancora più fiacco “strada per strada” usato e logorato tra gli altri da Antonio Bassolino lo scorso anno a Napoli. Poco riconoscibile in giro e poco disponibile a implementare la sua agenda, ha demotivato molto i suoi sostenitori, sia a livello dirigenziale che di militanza, che nelle ultime ore lo danno in caduta libera di consensi. Da un lato schiavo dell’ipoteca Orlandiana da cui non è riuscito a divincolarsi, e dall’altro senza una strategia di comunicazione forte, ha provato a rifugiarsi in una comfort zone fatta di incontri con ministri e sottosegretari.

E’ solo grazie a Ferrandelli se la campagna ha avuto un brio, un guizzo, e finanche un divertimento generale. Ferrandelli, senza potentati né partiti forti alle spalle, aveva una sola possibilità: donarsi interamente alla campagna elettorale. E così ha fatto: la sua è stata la campagna totale. Ferrandelli era ovunque: in strada, in diretta radio, in diretta tv, in diretta social, ai confronti. Ha avuto una strategia offline e online coordinata che gli ha dato la possibilità di essere equiparato costantemente a Lagalla e Miceli che non hanno mai potuto fare a meno di tirarlo in ballo, legittimandone la posizione. In tutti i confronti tra i candidati sindaco Ferrandelli è sempre stato il più puntuale nelle risposte tematiche e il più pungente verso gli avversari. E’ stata la mina vagante di questa campagna, esplosa grazie a un super attivismo anche social: tutto il consenso libero possibile è stato intercettato da Ferrandelli, grazie anche allo spazio lasciato libero dai competitor. Lo spot finale in cui fa ripartire un’auto in panne, metafora della macchina comunale, è in assoluto uno dei guizzi più belli di tutte le campagne elettorali recenti. Basterà a colmare il gap con gli altri candidati più strutturati? Non lo sappiamo. Quel che è certo è che tutti lo danno in grande rimonta: Ferrandelli, infatti, è l’unico che, oltre al grande consenso personale, può raccogliere i riformisti di centrosinistra delusi da Miceli e dell’alleanza con i 5 Stelle e i moderati e liberali di centrodestra che non si riconoscono in Lagalla o in lega e fratelli d’Italia. Alcuni sono certi sia molto più avanti di Miceli. E nel caso in cui Ferrandelli riuscisse a compiere l’ennesima imprese e portare Lagalla al ballottaggio, si aprirebbe tutta un’altra partita.

Passando in rassegna la  comunicazione degli altri candidati l’unica degna di nota sembra essere Rita Barbera. Per lei uno slogan elegante che non ha disposto però di grandi risorse. Risorse modeste anche per la candidata Donato. La sua è stata campagna sobria di prospettiva anti europeista quasi tutta nel solco della narrativa no vax. Non pervenuto sul piano della comunicazione invece Ciro Lo Monte, sempre presente ai confronti a rivendicare posizioni indipendentiste che non sembrano fare breccia nell’elettorato.