Il 7 febbraio 2012 a Palermo un carabiniere di 40 anni Rinaldo D’Alba uccise la moglie Rosanna Siciliano, 38 anni, davanti alle due figlie, all’epoca di 12 e 5 anni, e poi si suicidò.

Ora le due figlie una di 19 l’altra di 12 anni con la nonna materna Rosaria Alessi e gli zii materni Ignazio, Manuela e Alessia Siciliano hanno citato la presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero della Difesa e il ministero della Giustizia davanti al tribunale civile di Palermo chiedendo il risarcimento del danno.

Secondo i familiari la vittima ”si era rivolta alle Forze dell’Ordine prima di essere uccisa, aveva segnalato e denunciato l’ex marito che la intimidiva e sperava di trovare nello Stato un punto di appoggio, una protezione. Aveva raccontato ai carabinieri che il marito la minacciava, anche davanti alle figlie, che era violento, che la picchiava e le urlava contro spaventandola al punto da condurla a non volerlo più vedere”.

Gli avvocati Vanessa e Gabriele Fallica, che rappresentano i familiari di Rosanna siciliano, ritengono sussista ”una
responsabilità dello Stato ed in particolar modo dell’Arma dei Carabinieri, per le gravi omissioni perpetrare nonostante le
denunce fatte dalla vittima. Le figlie e i familiari della vittima dopo sei anni, non hanno ricevuto alcuna assistenza”.

I legali sostengono che l’Arma ”nonostante la consapevolezza che il dipendente avesse gravi problemi di natura psicologica, manifestati con ripetuti atti di violenza contro la moglie, ha continuato a mantenerlo in servizio senza prendere alcun provvedimento anche a sua tutela”.

D’Alba, di origini baresi, era in servizio alla stazione Falde ed era a Palermo dal ’95. Qualche mese prima dell’omicidio la coppia aveva avviato la causa di separazione. La vittima viveva con le figlie in caserma e il carabiniere nella camerata dello stesso immobile.

Nell’atto di citazione i legali scrivono che ciò ”che desta stupore è la circostanza che tutto avveniva all’interno di una caserma dei Carabinieri dove i colleghi del marito, senza mai intervenire, sapevano e vedevano che Rosanna voleva semplicemente vivere in pace dopo gli alti e bassi di un matrimonio ormai naufragato, una pace che però non ha mai raggiunto per aver subito violenza da chi sosteneva di amarla e da chi avrebbe dovuto proteggere il suo diritto alla
vita”.

Nella denuncia del novembre 2010 la vittima, specificando che il marito fosse un carabiniere, aveva dichiarato: “Deve dirsi infatti che negli ultimi tempi l’aggressività di mio marito è notevolmente aumentata, io ho iniziato ormai a vivere in un clima di vero terrore, temendo di essere picchiata per un nonnulla e lui ha addirittura iniziato a rivolgersi anche verso le bambine e non più solamente nei miei confronti in termini ingiuriosi…”.

E ancora “mio marito inizio a colpirmi in viso con pugni e schiaffi, io caddi a terra e lui continuò ad infierire contro di me colpendomi ripetutamente per poi lasciarmi sul pavimento sanguinante ed implorante aiuto. Solo quando riuscì ad alzarmi mi accorsi della presenza di mia figlia la quale con le lacrime agli occhi gridava terrorizzata”.

Secondo gli avvocati Fallica, considerate le denunce e il fatto che tutti nella caserma conoscevano la situazione in cui
viveva la vittima, dovevano essere prese misure da parte dei carabinieri a cominciare ”dalla consegna dell’arma in dotazione da parte di D’Alba nonché l’obbligo di allontanamento dalla moglie attraverso anche un ordine restrittivo”.

Ma l’unico intervento nei confronti del carabiniere fu quello del comandante del reparto che ”verificando i maltrattamenti, invitava l’appuntato D’Alba a trasferirsi in altro alloggio”.

L’Arma dei carabinieri – è scritto nella citazione – noncurante delle reali esigenze delle figlie della vittima nonostante le promesse verbali, è intervenuta soltanto donando ceste regalo a Natale ed a Pasqua e partecipando alle spese scolastiche con fondi provenienti dall’Opera nazionale di assistenza per gli orfani dei carabinieri.