Il gup Marta Maria Bossi ha condannato i componenti di un’organizzazione che, secondo le indagini degli agenti del commissariato di Brancaccio, avrebbero gestito una delle più grande piazze di spaccio di crack nel quartiere Sperone a Palermo. Come scrive il Giornale di Sicilia a un anno dal blitz sono arrivate le condanne. Sono stati condannati a 19 anni e 8 mesi Santo Cordova; 18 anni al fratello Fabio; 15 anni a Samuele Imparato; 14 anni e 8 mesi a Domenico Zora; 13 anni e 4 mesi a Girolamo Fazio e ad Andrea Di Salvo; 13 anni a Vincenzo Sangiorgi; 12 anni e 8 mesi ad Antonino Malleo e a Domenico Schillaci; 11 anni e 8 mesi a Emanuele Chiovaro e a Vincenzo Zora; 11 anni e 4 mesi a Salvatore Zora (classe ’99); 9 anni e 4 mesi a Stefano Cordova; 7 anni e 4 mesi a Daniele Amato; 8 anni e 4 mesi a Fabio Mostacciolo e 4 anni a Salvatore Zora (classe ’81).
La pena più bassa, due anni e otto mesi, è stata inflitta a Giovanni Cricchio, per il quale è caduta l’accusa di avere fatto parte dell’associazione finalizzata alla vendita della droga. Il sistema era perfettamente costruito: i pusher “lavoravano” in due turni dalle otto del mattino alle due di notte, piazzando incessantemente gli stupefacenti a un ritmo che generava un giro d’affari capace di sfiorare i cinquantamila euro al mese. Un mercato che non si fermava neppure davanti agli arresti, con i gruppi familiari dei Cordova e dei Chiovaro determinati a non perdere il controllo del quartiere. E per farlo non mancavano i compromessi.
Come quando le due fazioni ritrovarono subito l’equilibrio dopo che un affiliato fu pestato perché sospettato di essere una spia: piuttosto che scontrarsi fu siglata subito una sorta di «pax criminale» nel nome degli affari. Tra via Mariano Campo e via Pecori Giraldi, i magazzini sotterranei e i box erano stati trasformati in punti di raccolta – per giunta lontani dagli occhi indiscreti – perfetti per mascherare il flusso continuo di acquirenti.
Le indagini, condotte tra il 2020 e il 2022, hanno documentato il via vai costante di consumatori provenienti da tutte le zone della città e anche da fuori provincia. La base, individuata dagli investigatori, era il box 74, un vero e proprio luogo di transito con auto che arrivavano, si fermavano pochi secondi e ripartivano appena la merce era stata acquistata. Gli imputati sono stati inchiodati anche grazie ai dispositivi tecnologici utilizzati dagli investigatori. Una telecamera nascosta in un’auto parcheggiata accanto ai garage aveva ripreso centinaia di passaggi di crack, con spacciatori e vedette impegnati a ogni ora del giorno e della notte. Per non parlare del meccanismo, raccontato dalle intercettazioni, che aveva svelato come funzionavano le paghe giornaliere: 100 euro per un turno ma nei momenti di crisi si scendeva anche 30 euro. Domenico Schillaci, detto il “cipolla”, pretendeva 110 euro, ma Samuele Imparato lo frenava: «Sono finiti… se vuoi stare qui, oggi sono 70 euro». E quando il primo minacciava di lasciare tutto, rispondeva: “Allora io non lavoro e me ne vado». Gli equilibri erano fragili, tanto che per far lavorare Sangiorgi – come lui stesso racconta alla moglie – i capi decisero di togliergli dieci euro di paga: “Gli tolgono 10 euro al cipolla e li danno a me… ma loro non hanno fiducia in lui”. I vertici del sodalizio garantivano anche assistenza legale a chi veniva arrestato: “Ci penso io, signora, non si preoccupi. Noi lo sappiamo quello che dobbiamo fare”, era la rassicurazione di uno degli imputati alla mamma di un detenuto.






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