Da quindici anni viveva nella sua abitazione acquistata regolarmente prima che il boss di Cinisi, con cui aveva sottoscritto la compravendita dell’immobile, fosse coinvolto in un’inchiesta che aveva portato al sequestro e poi alla confisca dei beni accumulati grazie a cosa nostra. Un giorno al residente del comune nel palermitano gli fu notificata dall’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata un’ordinanza di sgombero in esecuzione di un decreto di confisca emesso dal tribunale penale di Palermo, sezione misure di prevenzione. Doveva lasciare la sua abitazione.

La revoca

Il proprietario, difeso dagli avvocati Letizia Ferlisi e Roberto Cianciolo, ha dimostrato che l’atto di acquisto dell’immobile era stato trascritto prima del sequestro e che non era mai stato convocato nel corso del giudizio. Agli investigatori era sfuggito quell’atto di vendita e per gli inquirenti la casa era ancora del boss. I giudici del tribunale della prima sezione penale presieduti da Raffaele Malizia con l’ordinanza del 7 aprile, hanno preso atto della trascrizione del titolo di acquisto avvenuta prima e la carenza dei presupposti di legge per la confisca di prevenzione di quell’immobile, ne ha disposto la revoca, ordinando l’immediata restituzione dell’immobile al legittimo proprietario e, per l’effetto, la cancellazione della trascrizione del sequestro.

I legali: “Soddisfatti”

“Siamo molto soddisfatti dell’esito favorevole di questo giudizio – dicono i legali -, le procedure volte al sequestro e alla confisca preventiva di ingenti patrimoni talvolta possono comportare l’adozione di misure restrittive a carico di soggetti estranei alla criminalità organizzata, i cui beni risultano regolarmente compravenduti e trascritti. Nel nostro caso il proprietario non era mai stato evocato in giudizio in violazione del disposto di cui all’art. 2 ter comma 5 della Legge n. 575/1965, il quale sancisce che, se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati dal Tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento, al fine di garantire il rispetto del diritto alla difesa e al contraddittorio”.

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