Tra i tanti cambiamenti che sta già apportando alla nostra vita sociale e professionale l’emergenza Coronavirus vi è certamente l’uso massiccio della telematica in particolare in due settori: la scuola e la pubblica amministrazione.
Mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, è il delegato della Conferenza episcopale siciliana per la scuola, l’università e l’educazione cattolica e Vice Presidente della CESI.

Mons. Pennisi Lei ha inviato proprio in questi giorni a studenti, docenti e dirigenti e personale scolastico, una lettera. Per esprimere che cosa?
Per manifestare a tutti la mia vicinanza in questo tempo difficile che tutti stiamo vivendo.

Cosa sta accadendo nel mondo della scuola dal suo punto di vista?
Il mondo della scuola all’improvviso è stato catapultato, come la società tutta, nel dramma della pandemia del Covid-19. All’improvviso tutti abbiamo dovuto imparare a relazionarci in modo inconsueto. La distanza sociale è divenuta la modalità prima del nostro prenderci cura di noi stessi e del nostro prossimo. La preoccupazione, l’angoscia e la paura sono prepotentemente entrati nelle nostre case. Ci siamo scoperti drammaticamente fragili in balia di un nemico invisibile agli occhi ma fin troppo visibile negli effetti devastanti sul nostro vivere personale, familiare, sociale.

Quali cambiamenti già in atto lei vede?
Non è più una scuola come eravamo soliti vivere con lezioni in presenza, ma con piattaforme on line; non più relazioni dirette, ma mediate da un dispositivo elettronico, non più strette di mano o abbracci, ma saluti scambiati con l’ausilio di un microfono e di una telecamera.

Cosa ha detto ai docenti nella sua lettera?
Ogni docente in questa vicenda ha riscoperto il senso profondo del “fare scuola” oltre le stesse mura dell’edificio scolastico, continuando a seguire anche “a distanza” gli studenti che gli sono stati affidati. Egli stesso si è fatto compagno di viaggio dei propri studenti, anzi ha assunto il ruolo di guida dei propri studenti per condurli a passare oltre e a trovare un senso alla propria vita!

E agli studenti?
Ogni studente è stato raggiunto dai propri docenti lì dove si trova, tra le pareti della propria stanza. Ciò ha permesso di alleviare il senso di smarrimento, di combattere il rischio di isolamento, di sentirsi parte di uno stesso corpo.

Ma non sono solo rose e fiori. Sono emerse anche grandi difficoltà?
Abbiamo scoperto, ma già si sapeva, che molte famiglie non hanno né gli strumenti tecnici necessari (cioè computer per tutti i componenti che ne hanno bisogno) né possono accedere a reti in grado di sostenere per molte ore i collegamenti on line.

E la causa?
In alcuni casi è economica. Quasi tutti hanno un telefonino, ma il collegamento telematico costa e quando in famiglia si è in molti a doversi collegare via internet anche i costi hanno un peso. Ma poi a ciò si aggiunge che non tutte le zone del nostro Paese sono adeguatamente collegate e servite. In alcune zone della nostra diocesi per esempio i collegamenti sono ancora precari o instabili e ciò incide anche sulla qualità e quantità del lavoro da svolgere a casa. Ma non dimentichiamo però che non tutti hanno il computer e molti ancora non sanno usarlo. Posso raccontare un fatto riferitomi di recente?

Prego
In una città d’Italia nelle prime settimane di crisi economica la Caritas chiese all’Amministrazione comunale provvedimenti urgenti per far fronte all’esigenza alimentare. Fu deciso di effettuare le domanda per i buoni pasto collegandosi al sito del Comune e riempiendo una scheda molto semplice a fronte della quale si poteva stampare il buono pasto da spendere in strutture convenzionate. Dopo pochi giorni ci si accorse che le domande erano molto al di sotto delle stime della Caritas. Motivo? Molti o non avevano il computer o non lo sapevano usare.

E tornando alla scuola cosa si può fare?
Innanzitutto lo Stato, e in particolare il Ministero dell’Istruzione, deve poter dotare tutti gli studenti e i docenti di strumentazione adeguata, altrimenti l’inizio del prossimo anno scolastico costringerà a mandare alle ortiche molto del lavoro proficuamente svolto in questi mesi. Ci vuole poi anche una conversione culturale in molte famiglie. Bisogna convincersi che il computer a casa con adeguato collegamento telematico è necessario come tanti degli elettrodomestici presenti nelle nostre case. Ma nel frattempo bisogna incentivare solidarietà e carità.

Che vuol dire?
Che aiutare una famiglia con figli studenti può voler dire in questo momento non solo garantire cibo a sufficienza, ove mancasse, ma anche sostegno in questa strumentazione, ove non fosse sufficiente. Talvolta, è l’ho verificato nei racconti di queste settimane, mancano i soldi per una ricarica o per un collegamento di wi fi. Oggi, più che mai, la scuola deve fare proprio il motto di Don Milani: “I care”, cioè “mi importa”. Ogni persona di scuola, secondo il proprio ruolo, deve prendersi cura di ciascun studente e tramite il dialogo e il contatto “virtuale” continuare a fornirgli “zaino” e “scarponi” per il cammino della vita.

Come sarà la scuola del dopo coronavirus?
È presto per dirlo. Forse si può solo immaginarlo. Tuttavia non possiamo non anelare ad un ritorno in sicurezza alle modalità consuete del nostro vivere insieme e del fare scuola. L’uomo è fatto per la relazione e senza relazione non c’è comunità. Il mio auspicio, in questo momento di emergenza che tutti stiamo attraversando, è di trarre dagli eventi inattesi che viviamo insegnamenti utili alla nostra crescita umana.

A cosa si riferisce in particolare?
Al valore della solidarietà, del senso di appartenenza alla comune famiglia umana, all’attenzione premurosa verso chi soffre o vive situazioni di difficoltà, al ritorno all’essenziale, alla sobrietà come stile di vita, alla centralità insostituibile degli affetti familiari, alla riscoperta di sé e della propria interiorità.

E lei pensa che questi valori si stiano consolidando in questo momento di difficoltà?
Se guardo solo al dibattito pubblico, quello della politica, della cultura, del giornalismo, direi di no. Ma fortunatamente c’è un Paese reale che sta sopportando il peso più oneroso della crisi e che non si sta tirando indietro in tante situazioni difficili. Questo è quello a cui guardare e sostenere. Le Istituzioni dovrebbero guardare di più a questo che non ai conflitti di competenze tra centro e periferia, tra rigoristi e permissivisti, tra “io l’avevo detto” e “io non ne sapevo nulla”.

Può essere più esplicito? A chi si riferisce?
Ad un patrimonio forse mutilato ma ancora vivo e vegeto del nostro Paese costituito dal modo e dal desiderio che la gente continua ad avere di mettersi insieme e di risolvere ove possibile i propri problemi. Questa esperienza ha un nome: corpi intermedi e uno strumento: sussidiarietà. L’esempio che ho fatto prima dimostra quanto sia necessario sostenere l’associazionismo e il terzo settore in generale.

E ritiene che non vi sia adeguata attenzione a questo aspetto?
In questo momento no. Vedo in giro molta voglia, forse in parte giustificata, di centralismo, di decisioni univoche e prese per tutti, in un Paese che rimane sempre molto lungo e molto diverso da nord a sud. In questo momento c’è nel mirino la sanità, ma a seguire ci potrebbe essere la scuola e poi tutto il resto.

Il dibattito sulla sanità è noto a tutti, ma la scuola che c’entra?
La scuola che non è statale, ma che non si chiama privata ma parificata, perché rende un servizio pubblico, sembra essere stata dimenticata dai provvedimenti di sostegno previsti dal Governo. Si tratta di garantire la libertà di scelta educativa e il pluralismo culturale, che sono dei diritti fondamentali. Se le famiglie non pagano le rette anche perché la scuola è chiusa e i costi di gestione non diminuiscono a settembre molte scuole parificate, di cui molte ma non tutte di ispirazione cattolica, rischiano di chiudere. Non mi riferisco alle scuole superiori ma alle tante scuole materne che in mancanza di un servizio pubblico capillare su tutti il territorio offrono alle famiglie un grande servizio. Non prevedere subito ammortizzatori sociali per i loro dipendenti vuol dire chiudere prima dell’estate e far spendere allo Stato molto di più per garantire a tutti il diritto all’istruzione.

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