Dopo Totò Riina è morto uno dei suoi uomini più fedeli. Stefano Ganci, che stava scontando l’ergastolo nel carcere di Parma, come il boss corleonese, è stato stroncato da un infarto a 55 anni. La Procura – come da prassi – ha disposto l’autopsia, per fugare ogni dubbio.

Il capomandamento della Noce era stato condannato a vita per gli omicidi di Rocco Chinnici e Ninni Cassarà (1985) ma anche per l’operazione Perseo, il maxi-blitz contro le cosche che portò in carcere 98 tra boss e gregari accusati di mafia, estorsione e traffico di droga.

Gli inquirenti scoprirono anche un tentativo di ricostituzione della commissione provinciale di Cosa nostra.

Negli anni scorsi durante un interrogatorio davanti al giudice Nino Di Matteo il collaboratore di giustizia Antonino Galliano rivelò che Stefano Ganci – pochi minuti prima dell’attentato al giudice Borsellino, in via D’Amelio – aveva “anticipato” la strage con queste parole: ”Sentiti ‘u buotto!” (senti il botto).

Ganci infatti aveva fatto parte del commando che pedinò Paolo Borsellino la mattina della strage del 19 luglio 1992.

Proprio il padre – Raffaele Ganci – 86 anni, sta scontando l’ergastolo ed era un membro della “Commissione provinciale” di Cosa Nostra. Affiliati alla cosca della Noce, i Ganci (c’è anche l’altro fratello, Domenico) sono sempre stati strettamente legati ai Corleonesi di Riina.

La famiglia Ganci gestiva un’avviata macelleria in via Lo Jacono, vicino alle residenze dei giudici Rocco Chinnici, in via Pipitone Federico, e di Giovanni Falcone.

Da quella macelleria i boss controllavano gli spostamenti dell’auto blindata di Falcone che proprio il 23 maggio del 1992 lascio il parcheggio per dirigersi in aeroporto e andare a prendere il giudice e la moglie.