I giudici della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti presieduta da Luciana Savagnone (consigliere Giuseppa Cernigliaro e Relatore Maria Rita Micci) hanno condannato Giorgio Di Rosa presidente dell’Aias a risarcire l’Asp 6 di Palermo di 578 mila euro per aver distratto somme dell’associazione che si occupa di assistenza disabili in favore dei familiari.
La procura della Corte dei Conti aveva contestato 333 mila euro per rimborsi chilometrici non dovuti. Il presidente si spostava da Modica a Palermo.
Spese per alberghi e ristoranti per euro 30 mila euro presso il San Paolo Palace Hotel di Palermo, pagando soggiorni per lui, il figlio, la moglie ed i cognati con assegni a sua firma tratti sul conto corrente dell’Aias.
Spese per parcelle di avvocati per 3 mila euro. Spese per incarico professionale esterno affidato al figlio Antonio Di Rosa, per 60.000 mila euro oltre le spese per rimborso viaggi per un totale di 152 mila euro.
Infine la Procura ha contestato al di Rosa quanto pagato dall’Aias a titolo di compensi per l’attività svolta a favore dell’associazione del figlio a cui il Consiglio Direttivo dell’Aias aveva conferito l’incarico di consulente informatico per un importo mensile di mille euro oltre rimborso spese per vitto, alloggio e rimborso chilometrico di euro 0.50 Km.
L’incarico però sarebbe stato dato senza le necessarie competenze. “Dalle dichiarazioni di tali Bruno Gestivo e Agostino Andolina, incaricati di realizzare un software per l’Aias – si legge nella sentenza – sentiti sui fatti di causa nel corso delle indagini portate avanti in sede penale, avrebbero riferito che Antonio Di Rosa fosse privo di competenze informatiche, si recasse a lavoro per poche ore al giorno e che, di fatto, non avesse alcun ruolo all’interno dell’Aias. È emerso, peraltro, che Antonio Di Rosa era in quel periodo dipendente della società Katane Handling srl con sede in Catania, presso l’aeroporto Fontanarossa”.
I giudici della Corte dei Conti hanno accolto le tesi della procura.
“Dalle indagini è emerso che Giorgio Di Rosa di fatto, il monopolio della gestione dell’associazione; come hanno riferito i consiglieri sentiti dalla Guardia di Finanza, agli stessi spettava unicamente il potere di ratifica degli atti definiti urgenti dal Di Rosa medesimo, senza che fosse riservato agli stessi alcun altro potere decisionale – si legge nella sentenza – Dalle indagini è emerso, altresì, una sovrapposizione di ruoli e/o funzioni tra i soci ed i fornitori dell’Aias nonché i fornitori privati del Di Rosa.
Un socio Aias (tale Buscemi) avrebbe eseguito lavori edili tanto per l’Aias che per l’abitazione privata del Di Rosa come anche alcuni fornitori dell’associazione. Questi ultimi fatti, sebbene non rilevanti per questa Corte, assurgono, nel quadro d’insieme, così come delineato dalla Guardia di Finanza e ripreso nell’atto di citazione, ad elementi idonei a soppesare la condotta del Di Rosa e a disvelare ancor di più la gestione “personalistica” dell’associazione portata avanti dal Di Rosa medesimo.
Le indagini hanno rivelato, pertanto, un totale “azzeramento” della struttura associativa Aias, con ciò smascherando quella che è stata negli anni la condotta tenuta dal Di Rosa finalizzata unicamente alla realizzazione di vantaggi personali, per sé e per amici e parenti, attraverso la distrazione e/o appropriazione di pubbliche risorse. La condotta di Di Rosa non può non ritenersi caratterizzata dal dolo, stante la coscienza e volontà pervicacemente dimostrate negli anni nel portare avanti una gestione malsana unicamente finalizzata alla distrazione e/o appropriazione di pubbliche risorse”.
Giorgio Di Rosa ha cercato di difendersi sollevando un difetto di giurisdizione e invocando la prescrizione.
Ha anche sostenuto che si trattasse di rimborsi dovuti che non hanno fatto venire meno il servizio di assistenza regolarmente garantito.
Argomentazioni che non hanno convinto i giudici che hanno condannato il presidente.
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