A volte tornano. Anche quando Palermo un po’ se ne scorda. E a Palermo, la sua città natale, torna Emanuele Modica con la sua “Ultima tenda”.

In piazza Bologni per la precisione dove, all’interno di una tenda appunto, è stata allestita l’antologica sul primo artista antimafia (in senso ante litteram) della storia d’Italia. Modica, ormai ottantenne, è residente a Manzano di Langhirano (Parma). Rientra nella sua distratta città per illustrare, spiegare, conversare con chi vorrà, per tutto il tempo della mostra a lui dedicata: da oggi (domenica 26 marzo) alle 17 fino al 9 aprile.

L’occasione è il docufilm ideato da Renato Lisanti e Salvo Taranto, pure loro presenti oggi alla vernice, che la Luminol dedicherà all’artista simbolo. E come nel film documentario, l’esposizione sarà una retrospettiva che affonda le radici negli anni ’60 del secolo scorso. Era il 1961 e, in una notte d’estate, la mafia della terra regalò al venticinquenne allora contadino, il dolore di una vita: il padre stramazzato a terra, ammazzato a colpi di lupara. Per Modica è uno shock. Sbanda tra incertezze, rancore e tormenti. Ma alla fine decide. E decide di brandire l’arma dei colori e imbracciare pennelli, tavolozze e tele. La vendetta avrebbe viaggiato sulle gambe della pittura, nell’assai poco convenzionale atelier (la tenda) con il quale, per decenni, è andato in giro per le piazze d’Italia. Portando, con il suo animo da vagabondo della pace, il suo urlo, la sua sofferenza, la sua malinconia. E assieme, il suo anelito di giustizia, la sua arte. E la sua personalissima denuncia della mafia e di ogni forma di sopraffazione mafiosa.

È per questo che don Luigi Ciotti lo ha definito “un precursore dell’idea di Libera”. E lo ha affiancato. Anche in questi ultimi anni durante i quali Modica, ormai avanti nell’età, ha voluto dedicarsi all’organizzazione di uno spazio in cui raccogliere le sue pitture e le sue piccole creazioni, di legno per lo più. È nata così, in una vecchia canonica sui colli alle porte di Parma donatagli dalla chiesa del paesino in cui vive, la ‘Casa-museo La tenda’. Pochi ambienti, per un circuito che culmina nella stanza degli orrori: quella nella quale, aldilà di una porta sempre chiusa, c’è la scena del delitto, con il padre riverso a terra. E attraverso il circuito museale, vengono ripercorse le tappe della vita dell’artista: la sua testimonianza, la sua lotta vagabonda. La sua arte un po’ naif nella quale i toni cupi del dolore si mescolano con il celeste che apre alla speranza. E in cui croci che rievocano vite spezzate si affastellano a paesaggi di pietra, a cavalli immersi in corse senza fine. A maternità nelle quali amore e dolore si perdono nello spazio e nel tempo. E parlano di sofferenza. E di redenzione, assieme.

Modica torna, insomma. E torna con la sua ultima tenda nella Palermo che in questi anni lo ha un po’ dimenticato. Ma Palermo ha una chance, adesso, per farsi perdonare. E per dirgli grazie. Perché se la sensibilità e la cultura antimafia sono cresciute in questi decenni, nella società, si deve anche a lui. Al suo coraggio. Ai suoi pennelli. Alla sua vita. All’arte di quel singolare artista contadino che ha fatto della bellezza, sempre, il luogo della giustizia. E del desiderio di libertà.
Umberto Ginestra