Progetti di formazione che avrebbero dovuto essere pubblicizzati in maniera adeguata, ma così, secondo l’accusa, non era stato. In tutto 13 progetti banditi senza che vi fosse “evidenza pubblica”, con l’agevolazione di alcune cooperative che se li aggiudicarono incassando le somme messe a disposizione dalla Regione.

Cadono adesso le ipotesi di abuso d’ufficio e peculato nei confronti di Patrizia Monterosso e Alessandra Russo perché i fatti non vengono considerati sussistenti. Lo scrive il Giornale di Sicilia di oggi.

I fatti, risalenti al periodo compreso tra ottobre 2007 e novembre 2008, avevano portato ad un’inchiesta ora archiviata dal Gip di Palermo Piergiorgio Morosini che ha accolto le tesi dell’avvocato Roberto Mangano e di Vincenzo Giacona.

All’epoca dei fatti, Patrizia Monterosso e Alessandra Russo erano rispettivamente segretario generale della Regione e dirigente del dipartimento della Formazione. Oggi, Monterosso è direttore della Fondazione Federico II, mentre Russo è capo di gabinetto del vicepresidente della Regione, Gaetano Armao.

L’archiviazione del caso era stata chiesta, per due volte, dal pm Ennio Petrigni, ma nel settembre 2015, l’allora Gip Marina Petruzzella l’aveva respinta, ordinando l’imputazione coatta e chiedendo accertamenti pure sugli ex assessori regionali dell’epoca, Francesco Scoma e Santi Formica. Il nuovo giudice che ha seguito il caso, Morosini, ha voluto approfondire la situazione e alla fine ha archiviato.

Secondo l’accusa, non avendo posto in essere gare ad evidenza pubblica, la Regione avrebbe consentito a 13 Enti di guadagnare “svariati milioni di euro”, mentre le due indagate si sarebbero appropriate dei fondi regionali, assegnandoli alle cooperative che avevano redatto i progetti.

Come spiega ancora il Giornale di Sicilia, il Gip Morosini ha concordato col pm Petrigni (dal 2017 procuratore aggiunto) e con l’avvocato Mangano riguardo alla mancata adozione delle procedure ad evidenza pubblica: sono sì obbligatorie per la normativa nazionale, ma il mancato rispetto non integra gli estremi dell’abuso d’ufficio. Semmai ci sarebbe una illegittimità, contro la quale si possono attivare i rimedi amministrativi dell’autotutela o del ricorso giurisdizionale.

In più, da parte della Monterosso e della Russo non ci sarebbe stato alcun dolo, ovvero la consapevolezza e la volontà di commettere un reato. Non sono emersi poi “particolari elementi di congiunzione sospetta – scrive ancora il giudice Morosini – tra i funzionari della Regione e i titolari delle cooperative che hanno presentato i progetti”.