La Giornata mondiale della libertà di stampa è una giornata importante non solo per gli addetti ai lavori, perché la libertà di stampa è strettamente connessa alla garanzia e tutela dei valori fondamentali dell’uomo.

Il riconoscimento del diritto

Organismi internazionali hanno garantito tale diritto: l’art.19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) riconosce la libertà di opinione e di espressione di ogni individuo e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere; l’art.10 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (1950) regolamenta la libertà di espressione riconoscendone il valore di pietra angolare della democrazia.

Nascita della Giornata

Il 17 dicembre 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 3 maggio ‘Giornata Mondiale della Libertà di Stampa’, per ricordare ai governi il loro dovere di sostenere e far rispettare tale fondamentale diritto e per celebrare l’anniversario della Dichiarazione di Windhoek (1991) redatta per promuovere una stampa africana indipendente e pluralistica, in cui la libertà di espressione è definita indispensabile per lo sviluppo economico e democratico. L’UNESCO ha istituito nel 1997 il ‘Guillermo Cano World Press Freedom Prize’, in onore di Guillermo Cano Isaza, giornalista colombiano ucciso a Bogotà nel 1986 dai narcotrafficanti. Tale premio viene conferito a persone, organizzazioni o istituzioni che hanno dato un evidente contributo a difesa della libertà di stampa nel mondo.Nel corso degli anni il Consiglio d’Europa, grazie ad esperti internazionali, ha adottato linee guida per la libertà d’espressione nella lotta al terrorismo, per la protezione e sicurezza del giornalismo d’inchiesta, dell’intelligenza artificiale e per mantenere il dialogo tra i soggetti mediatici online e gli Stati membri.

Italia al 41° posto nella classifica della libertà di stampa

Dal ‘World Press Freedom Index’ 2020, redatto da Reporter Without Borders sulla base delle pressioni ricevuti dai media, risulta che l’Italia ricopre il 41° posto in graduatoria, dietro a tutti gli altri principali Stati europei e anche a diversi Paesi in via di sviluppo, come Namibia e Burkina Faso. Al primo posto troviamo la Norvegia, seguita da Finlandia, Danimarca, Svezia e Olanda, poi Germania (11°), Belgio (12°), Spagna (29°), Francia (34°) e Regno Unito (35°).  Doveroso porsi delle domande su questo posizionamento. 

Le cause

La nostra Costituzione (art.21, I comma) sancisce che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Il perimetro della nostra libertà di stampa sembrerebbe perfettamente delineato se non fosse che non trova sempre riscontro nella realtà e anzi spesso vede la strada sbarrata da ostacoli frapposti da poteri distinti, con matrici mutevoli nel tempo. Se è vero che tale diritto affonda le sue radici nella volontà di evitare le censure e le chiusure forzate dei giornali dell’epoca fascista, a distanza di quasi un secolo le pressioni hanno solo trovato modalità differenti, adattandosi anche alle nuove tecnologie e, in alcuni casi estremi, utilizzandole per mettere ‘bavagli’ a una stampa ‘scomoda’.

Giornalisti minacciati

In Italia la libertà di stampa ha assistito a un numero crescente di minacce e attacchi ed è condizionata da molti fattori che vanno da motivazioni socio-politiche alla criminalità organizzata. L’Osservatorio del Viminale ha evidenziato le aree piu’ a rischio, con in testa il Lazio, seguito da Campania, Sicilia, Calabria e Lombardia. Tanti, troppi, i giornalisti minacciati (63 nuovi casi da gennaio 2021) e costretti a vivere sotto scorta (20). Senza contare i rischi che corrono i precari, più esposti perché vivono sul territorio. In aumento le intimidazioni veicolate via web e tramite i social, il linguaggio d’odio, gli attacchi provenienti da gruppi nazifascisti o il fenomeno di giornaliste prese di mira da un linguaggio sessista.

I dubbi sul caso Nancy Porsia

La Procura di Trapani, che indagava sul ruolo delle Ong nei soccorsi in mare a largo della Libia, ha intercettato la giornalista Nancy Porsia per sei mesi. Le intercettazioni non sono trascritte nella informativa riepilogativa delle indagini. Il provvedimento era legalmente giustificato da una specifica previsione normativa ma la gravità del fatto resta: se è vero che l’art. 266, II comma, c.p.p., prevede la possibilità di intercettare persone non indagate, pur se come ‘extrema ratio’ , è altrettanto valida la rivendicazione che Nancy Porsia fa di due violazioni avvenute ai suoi danni: “Questo articolo manda in deroga diritti tutelati dalla Costituzione– ha dichiarato in un video di Youtube -: il diritto alla tutela della privacy come cittadina libera e il diritto alla tutela delle mie fonti come giornalista”. Qual’è stata la ragione che ha portato ad intercettare la giornalista?

Covid19: comunicazione della crisi

L’esercizio del diritto all’informazione è stato travolto dall’infodemia (neologismo recente che indica l’informazione sulla Pandemia che può essa stessa essere parte del problema), che ha generato allarmismi, ha fornito dati contrastanti che certo non hanno aiutato la popolazione a orientarsi e hanno fatto perdere fiducia nei governi e negli organismi sanitari.  Solo un giornalismo indipendente e pluralista può fornire un’informazione affidabile, mentre nella crisi della pandemia stiamo assistendo, da un lato a una comunicazione confusa e contraddittoria che genera sfiducia se non panico, dall’altro a una sorta di censura delle opinioni troppo discordanti dalle linee guida dei governi e delle multinazionali del farmaco.  E non dimentichiamo i recenti casi di piattaforme Internet (Google, Youtube…) che hanno bloccato siti ufficiali di media che davano notizie ‘in controtendenza’.

La deontologia professionale

Secondo alcuni, il diritto all’informazione legittimerebbe il giornalista ad accedervi anche in modi discutibili (si parla di “talpe” nei tribunali o di “pubblicazioni illecite”). Pur di fare uno scoop non esita a pubblicare dettagli di un’inchiesta: ma è questa la libertà di stampa? Di espressione? È giusto orientare l’opinione pubblica, creare un pregiudizio? Svelare particolari raccapriccianti di un delitto? Foto scabrose? Diffondere atti processuali non garantendo il corretto svolgimento di un processo?

Da non dimenticare

Tra i professionisti appassionati del loro lavoro e difensori della libertà di stampa, ricordiamo simbolicamente Daphne Caruana Galizia, assassinata a Malta nel 2017 in un attentato dinamitardo per aver svelato i legami del traffico di esseri umani tra le mafie italiane e la criminalità internazionale; Ilaria Alpi, giornalista del Tg3, uccisa a Mogadiscio nel 1994, assieme al cameraman Miran Hrovatin, perché sulle tracce di un traffico internazionale legato ai rifiuti. Ma anche giornalisti uccisi dalla mafia come Mario Francese, Peppino Impastato, Beppe Alfano, o dal terrorismo quale Walter Tobagi.

L’agenda rossa e il computer

Il 3 maggio deve servire per sensibilizzare tutti i singoli cittadini, affinchè si comprenda che difendere la libertà di parola, il diritto all’informazione, il pluralismo e l’indipendenza dei media, significa difendere la democrazia e il diritto alla verità. Solo lottando per la verità si potrà onorare il sacrificio di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, contrastando chi ha fatto in modo che certe informazioni sparissero.