Mario Marchese si occupava di tante cose. Piccole e grandi faccende che riguardavano il suo mandamento che gestiva secondo le rigide regole ferree della Vecchia Cosa Nostra.

Ad ottobre del 2013 e precisamente il 28 si trovò ad affrontare un tema che alla luce del delitto di via Falsomiele torna di assoluta attualità.

L’anziano boss di Santa Maria di Gesù doveva dirimere una questione nata tra gli eredi di Stefano Bontate, tra questi proprio Vincenzo Bontà ucciso in circostanze ancora da chiarire lo scorso 3 marzo.

La questione da affrontare era quella di un immobile in via Barbagallo conteso tra gli eredi del boss mafioso.

L’immobile, come si legge nelle intercettazioni faceva parte del patrimonio appartenuto ai defunti fratelli Bontate, era ora conteso dai
rispettivi figli: da una parte, vi era infatti la richiesta di Angela Daniela Bontate, figlia di Giovanni e moglie di Vincenzo Bontà, a sua volta figlio minore di Antonino Bontà e dall’altro lato, vi era la resistenza opposta da Francesco Paolo Bontate, attualmente detenuto e figlio del più noto Stefano, sostenuto pure dal suocero Mario Adelfio.

Nel corso della conversazione intercetta Antonino Pipitone diceva che, poiché lo stesso Mario Adelfio prima del suo arresto gli aveva dato incarico di rintracciare le proprietà appartenute al consuocero, egli aveva interpellato propria Antonino Bontà senza però ottenere nessuna indicazione utile se
non il fondato sospetto che della parte di patrimonio appartenuta a Stefano Bontate  non era rimasto nulla.

Nel corso della conversazione Mario Marchese raccontava a Pipitone  un interessante retroscena sui beni del principe di Villagrazia. Prima di venire ucciso in un agguato, infatti, Stefano Bontate aveva sotterrato una cassa, piena di denaro e preziosi, con 1 aiuto dei suoi uomini fidati identificati in Girolamo Mondino soprannonimato Mommino u lavannaru e Antonino Sorci detto Nino u riccu, deceduto.

“Stefano… – spiega Marchese – avieva vruricatu… avieva fattu vruricari… na
cassa china ri… china ri picciuli di ….. amunì… e cu l’avieva vruricata… Mumminu Mondino e Nino Sorci!]; dopo l’assassino del marito il contenuto della citata cassa era stato poi reclamato  dalla consorte. Mario Marchese  sosteneva che la cassa era stata recuperata ed il contenuto spartito tra i responsabili dell’epoca della famiglia “sapiddu duocu c’ieranu …sapiddu quantu… duocu stava ..Mondino…mi sa si pigghiò…puru anche Benedetto Capizzi “Benedetto!… lava dà puru pi Benedetto. agneddu e sucu e f iniu u vattiu! e Ignazio Pullarà, perfettamente a conoscenza della situazione Ignazio la sa bene la discussione ! Ignazio! hai capito?

Il racconto dell’anziano trovava riscontro nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia il quale aveva riferito che la moglie di
Stefano Bontate, dopo l’uccisione di questi, aveva tentato invano di recuperare parte del suo patrimonio interessando il cognato Giovanni Bontate Antonino Bontà.

“Non so quale sorte abbiano avuto gli investimenti di Bontate, curati da Michele Sindona, dopo la morte dello stesso Bontate. Ho saputo che la moglie di Stefano era a conoscenza di alcuni di questi investimenti, e, dopo la morte del marito, tramite Giovanni Bontate fece pervenire ad Antonino Bontà la richiesta di poter recuperare almeno in parte questi investimenti nonché gioielli e denaro. Questa circostanza l’ho appresa dallo stesso Giovanni Bontate, ed altresì da Pietro Lo Jacono  e Giovan Battista Pullara. Non so con certezza che esito abbia avuto la richiesta della moglie del Bontate, ma credo negativo. Fatto stà che la moglie del Bontate e Nino Bontà, per quel che mi risulta, non si trattano più”.