Le voci si sono rincorse per tutta la giornata e alla fine è arrivato. Nella serata di ieri, con una diretta Facebook, il Presidente Giuseppe Conte ha annunciato il nuovo decreto – in vigore dal 12 marzo fino al 25 marzo – che chiude tutte le attività commerciali che non vendono beni di prima necessità.

Questa volta, dopo l’annuncio, non abbiamo assistito a scene apocalittiche di supermercati notturni assaliti da masse di persone spaventate dall’esaurimento delle derrate alimentari perché, almeno su questo punto, il decreto parla chiaro: verranno garantite le riforniture dei supermercati e delle attività che rimarranno aperte. (QUI l’elenco completo delle attività che non chiuderanno).

Stavolta l’apprensione riguarda i lavoratori – dipendenti e partite iva – che si chiedono se sarà possibile coniugare il diritto alla salute con il diritto di portare a casa uno stipendio durante il periodo di stop.

Le nuove disposizioni, in linea con le precedenti, promuovono, durante l’emergenza, l’adozione di modalità di lavoro agile o da casa: “sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio”. Ma in un’Italia spaccata in due, con un sud-Italia che stenta a cavalcare la rivoluzione digitale e caratterizzato da grandi sacche di precariato, la paura è che all’orizzonte di agile vi siano solo licenziamenti.

Quanto all’aspetto di contrasto all’epidemia, le amministrazioni locali – ma anche gli operatori dell’informazione – che subito si sono attivate per recepire e diffondere le misure dei nuovi decreti, vengono sottoposte a domande che denotano confusione tra la popolazione.

Per questo motivo la Protezione Civile di Palermo nel proprio sito ha creato una sezione stilando una serie di risposte ai dubbi più frequenti con l’obiettivo di dissipare gli equivoci circa l’attuazione delle nuove disposizioni.

Inequivocabile il passaggio sulla necessità di autocertificare gli spostamenti compilando un modulo prestampato (scaricabile qui), meno chiara la distanza oltre la quale lo spostamento va giustificato.

Ma quindi si deve avere l’autocertificazione per fare la spesa o per comprare le sigarette? Sembrerebbe di no, ma il condizionale è d’obbligo. Se uscire da casa comporta un tragitto breve percorribile a piedi, come ad esempio quello per andare al supermercato vicino casa, non serve giustificare per iscritto lo spostamento.

Dovrebbero quindi essere motivati soltanto i lunghi tragitti in auto che richiedono un allontanamento o uno sconfinamento in un comune diverso da quello di residenza.

Dal dubbio sulla distanza percorribile, si passa al nodo da sciogliere per quanto riguarda le ragioni dello spostamento, e cioè le “comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, motivi di salute e rientro presso il proprio domicilio.” A disorientare è il passaggio successivo che sconfessa il precedente: “E’ possibile svolgere attività motorie in spazi aperti, purché sia sempre rispettata la distanza da altre persone e purché non si determinino situazioni di assembramento e affollamento”.

Possibile anche portare i cane a passeggio ma se scendi il cane tre volte al giorno devi portarti tre autocertificazioni oppure una per ogni giorno? Anche qui non c’è certezza.

La contraddizione di certo non aiuterà i controlli. Ci sono forze dell’ordine che hanno agito con ragionevolezza, altri operatori che invece hanno preteso autocertificazioni anche per passeggiare o portare a spasso il cane. E poi passeggiare che vuole dire. E fare sport all’aperto. Se vado in auto per raggiungere il parco dove voglio andare a fare sport? O se vado a passeggio e chi mi ferma vuole un dimostrabile motivo?

E’ facile prevedere che una norma ambigua, genererà interpretazioni ambigue e applicazioni presumibilmente arbitrarie. E’ facile anche supporre una casistica di proteste ai controlli eseguiti dalle forze di polizia che avranno il compito di stabilire se una passeggiata al parco, a patto che non riguardi un gruppo di persone vicine, sia punibile penalmente.