La corte d’appello di Palermo presieduta da Adriana Piras ha assolto Rosario Basile, ex patron di Ksm, dall’accusa di molestie e tentata violenza privata e prescritto dall’accusa di calunnia. “É finito un incubo che ha stravolto la mia vita, quella della mia famiglia ed ha rischiato di intaccare la nostra attività imprenditoriale, ma abbiamo resistito ed oggi siamo solidi e resilienti”. Così, Rosario Basile commenta la sentenza della Corte d’appello di Palermo. E’ una vicenda che risale al 2016: “A quei tempi ero presidente dell’Irfis e il nostro gruppo, il Ksm, era proiettato ai massimi livelli nazionali ed internazionali. Ma non c’è rammarico ed oggi accolgo questa sentenza con la serenità di chi ha sempre saputo di essere innocente”.
In primo grado Basile era stato condannato a tre anni e mezzo. Basile era difeso dagli avvocati Giovanni Di Benedetto, Fabio Lattanzi e Francesca Russo. Assolti e prescritti anche il dirigente di Ksm Francesco Paolo Di Paola e la collaboratrice di Basile, Veronica Lavore. In primo grado Di Paola era stato condannato a 3 anni e Lavore 2 anni. I due imputati sono stati difesi dall’avvocato Salvino e Giada Caputo. Era già stato assolto anche Salvatore Cassarà, maresciallo dei carabinieri imputato per rivelazione di segreto istruttorio. Il patron di Ksm si sarebbe rivolto anche per ottenere notizie sul conto della donna con cui aveva avuto la relazione sentimentale e accesso abusivo al sistema informatico. Per questo capo di imputazione l’assoluzione era stata decisa per la particolare tenuità del fatto. Il carabiniere, difeso dall’avvocato Gianfranco Viola, ha fatto ricorso in appello affinché ottenesse un’assoluzione piena nel merito.
I fatti che si contestavano a Basile
Il processo riguardava la relazione fra Basile e una ex dipendente da cui era nato un figlio. Secondo l’accusa, l’ex patron del colosso della sicurezza privata avrebbe minacciato la donna affinché non rivelasse che il figlio era suo. Una consulenza sul Dna, allegata al processo civile, stabilì invece una compatibilità del 99,9 per cento. L’imprenditore avrebbe licenziato la dipendente e fatto “carte false” per screditarla. Questa parte non aveva già retto al vaglio del Tribunale. Nel corso di un interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari Basile aveva respinto l’accusa di avere ordito un piano contro la donna, ma si era detto pronto ad assumersi le proprie responsabilità di padre.
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