Le leggi regionale sbagliate, impugnate e incostituzionali non finiscono mai. La Consulta ha, infatti, dichiarato l’incostituzionalità della l.r. 19 del 2015, ovvero la norma sull’acqua pubblica. Si tratta dell’ennesima magra figura di deputati e governi di questa legislatura che non sono riusciti a portare a compimento una sola vera riforma che non venisse bloccata.

Conm la sentenza numero 93 del 2017 pubblicata nel pomeriggio la Corte Costituzionale ha messo la parola fine alla possibilità di applicazione di una legge criticatissima dalle opposizioni al momento della sua emanazione e impugnata dal Consiglio dei Ministri con un provvedimento depositato davanti alla consulta fra il 20 e il 23 ottobre 2015.

“Da subito – dice l’avvocato Gaetano Armao – avevamo denunciato l’irragionevolezza di questa proposta”.

La legge in questione di fatto, in nome della ripubblicizzazione dell’acqua, riduceva le concessioneo trentennali degli acquedotti a nove anni allo scopo di far ritornare le gestioni, man mano, in mani pubbliche. Sarebbe toccato al governo stabilire le tariffe con un ritorno ad un sistema di gestione non più in vigore da tempo.

“Dopo la vicenda dei sindaci defenestrati per mancata approvazione del bilancio, i manager Asp – ricorda ancora Armao – è tutto un susseguirsi di norme incostituzionali. L’eliminazione del controllo preventivo da parte del Commissario dello Stato sancito dalla Corte costituzionale avrebbe dovuto determinare un supplemento di responsabilità da parte del Parlamento regionale”.

Per la Consulta già dai commi 2 e 3 dell’articolo 4 le disposizioni sono viziate sotto almeno tre profili. da un latio la legge stabilisce che il servizio idrico è di primario interesse pubblico e deve essere gestito ‘in house’ ma subito dopo ne demanda l’organizzazione a organismi secondari. In secondo luogo crea difformità fra ils ervizio pubblico senza scadenza e l’affidamento ai privati con scadenze precise violando i principi di eguaglianza e di ragionevolezza.

Sul fronte della definizione delle tariffe la sentenza ricorda che esiste una competenza unica statale in materia tariffaria che attraverso queste tariffe regola anche i criteri di salvaguardia ambientale. Sulla materia la Corte si è già espressa altre volte chiarendo l’esclusiva potestà statale proprio in materia di tariffe.

“Siamo in preda ad un delirio – commenta ancora Armao parlando del legislatore regionale – dove politici senza scrupoli o pivelli senza conoscenze legiferano su tutto danneggiando i siciliani”.

Evidente anche il danno arrecato al sistema idrico siciliano visto che le aziende concessionarie in attesa di comprendere quale sarebbe stato l’orientamento della Corte Costituzionale hanno sospeso ogni investimento temendo di dover riconsegnare gli acquedotti e cedere il servizio ben prima dei trent’anni previsti dalle concessioni originarie. “Occorre istituire subito un organismo indipendente – conclude armapo parlando in ghenerale del sistema Sicilia – che impedisca questo scempio dell’autonomia, indicando sin da subito le norme che non possono essere votate per palese incostituzionalità”.

LEGGI QUI LA SENTENZA INTEGRALE