“Non c’è vecchia o nuova mafia…La mafia è rapida nell’adeguare valori arcaici alle esigenze del presente… abile nel confondersi con la società civile… per l’uso dell’intimidazione e della violenza, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessa…”.

Le parole di Giovanni Falcone risuonano attuali a distanza di anni. Perché oggi più che mai occorre ricordare che si deve al giudice palermitano, la prima vera istantanea dell’organizzazione mafiosa, il primo identikit di Cosa Nostra che prima di Falcone era una struttura misteriosa. Si sapeva che c’era, ma non si conosceva come fosse.

Nella ‘fotografia’ scattata di recente nella relazione del ministro dell’interno, Marco Minniti, al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Dia, si delinea una mappa aggiornata della criminalità organizzata in Sicilia continua ad essere nel tempo il risultato di quelle azioni intraprese dal giudice Falcone quando parlava della mafia.

Da Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta, Enna, a Catania, Messina, Siragusa e Ragusa: la mafia c’è.

Cosa nostra siciliana continua a caratterizzarsi, in primo luogo, per essere un’organizzazione criminale fortemente strutturata, con un proprio ordinamento, un vasto bacino di reclutamento e potenzialità offensive elevate. Sul piano “militare”, un elemento da tenere in considerazione è la consistente disponibilità di armi e munizionamento, rilevata nell’ambito di numerose operazioni di polizia.

Caratteristiche che rimangono nonostante la persistente crisi in cui l’associazione si trova, affannandosi nell’intento di recuperare la salda leadership di un tempo e di assorbire i colpi inferti dalla sistematica azione di contrasto condotta dalle Forze di polizia e dalla Dia, coordinate dalle competenti Direzioni Distrettuali Antimafia.

Come nel caso della mafia in provincia di Palermo, si registra un acuirsi dell’insofferenza verso il potere esercitato dalla frangia corleonese, in passato garanzia di massima coesione verticistica e la cui autorità, sebbene spesso criticata, finora non era mai stata messa apertamente in discussione.

Il fenomeno dell’inabissamento non è da intendersi come depotenziamento, quanto piuttosto una, seppur forzata, scelta strategica di sopravvivenza finalizzata a sottrarsi alla pressione dello Stato, gestendo in maniera silente, ma adeguandosi costantemente ai mutamenti sociali gli affari “interni” ed “esterni”.

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