La spesa per la manutenzione della piscina, affrontata solo da uno dei coniugi nella fase precedente la separazione, non può e non deve essere rimborsata dall’altro.

Vale infatti, anche per le coppie in crisi, il principio che esclude che l’uno debba rimborsare l’altra o viceversa, pro quota, per le spese destinate «ai bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale».

La Cassazione interviene su una sentenza del tribunale civile, riguardante marito e moglie palermitani e aggiunge un altro tassello al principio della parità uomo-donna nel caso in cui lei sia autosufficiente dal punto di vista economico. Principio avviato con una sentenza della stessa Suprema Corte del 2017 e adesso ulteriormente riconosciuto in sede di legittimità.

Nello specifico, la Cassazione ha ritenuto che i due dovessero dividere la spesa della Tarsu, pagata nel periodo precedente la separazione, ma, per quel che riguarda le spese coniugali, affrontate dalla coppia nella villa in cui viveva, non è dovuto alcun rimborso.

E questo anche se a pagare era stata lei. Non solo le utenze – le bollette di luce, gas, acqua, telefono – ma anche la manutenzione della piscina non possono essere soggette ad alcun rimborso.

La sentenza 10927 del 7 maggio accoglie il ricorso dell’avvocato Cristiano Pagano – parte in causa, che si difendeva da solo – contro la ex moglie, assistita dall’avvocato Federico Ferina.

La coppia aveva un tenore di vita più che discreto e non litigava per i minimi – cosa piuttosto frequente, specie in tempi di crisi – ma di fatto per i massimi.

La questione verteva cioè su chi dovesse pagare le spese delle utenze della villa di Mondello, comprese quelle tipicamente estive (la piscina).

Se la decisione 11504 dell’anno scorso aveva stabilito la sostanziale fine del mantenimento dell’ex moglie, qualora lei abbia un proprio reddito e sia autosufficiente dal punto di vista economico, adesso la Cassazione censura la decisione del Tribunale, come organo di appello del giudice di pace.

Sulla questione Tarsu Pagano si era lamentato del fatto di aver dovuto pagarla per intero, senza la partecipazione della moglie, assegnataria della villa di Mondello dopo la separazione: il giudice di pace aveva dato ragione a lui, il tribunale in parte a lei, compensando la quota dell’imposta per il ritiro dei rifiuti, pagata dopo la separazione, con l’importo della metà delle bollette che lei aveva versato prima che venisse formalizzata la crisi coniugale.

Spese che si riferivano all’ultimo anno di convivenza: e poiché tra gli impegni familiari c’era anche l’ultima stagione estiva della piscina, la compensazione aveva riguardato pure questi impegni economici.

Secondo i giudici di merito e della Cassazione, è legittimo il rimborso Tarsu chiesto da lui a lei, mentre la sesta sezione civile della Suprema Corte, presieduta da Francesco Antonio Genovese, consigliere relatore Antonio Pietro Lamorgese, ha stabilito che nulla deve il marito per il rimborso della metà delle bollette.

I due, nel periodo in cui furono effettuati i consumi, convivevano e teoricamente erano tenuti a contribuire ai debiti comuni: eppure «le spese erano state sostenute da entrambi i coniugi per la famiglia e quindi anche per i figli, senza possibilità di distinguere tra quelle destinate all’una e agli altri.

Il contenzioso postconiugale – afferma la sentenza – riguarda gli assetti patrimoniali successivi alla separazione e al divorzio, ma non è un’occasione per rimettere in discussione tutte le voci di spesa sostenute da ciascun coniuge, seppure per i figli, durante il rapporto matrimoniale». In sostanza, ogni coniuge deve sopportare le spese affrontate per la famiglia. Che, fino a quando è tale, non prevede quote, di cui si possa poi chiedere la restituzione.