E’ la cronaca di una guerra combattuta tra le fazioni contrapposte di Cosa Nostra. Lotta senza esclusione di colpi, con il fuoco e con le intimidazioni.

L’arresto del presunto capo di San Giuseppe Jato Salvatore Mulè nell’aprile del 2013 aveva creato un vuoto che Gregorio Agrigento, storico esponente della famiglia mafiosa di San Cipirello, con Ignazio Bruno, Antonio Alamia, Giusppe D’Anna e Sergio Denaro Di Liberto voleva colmare.

Una guerra per il predominio a San Giuseppe Jato che è di grande importanza strategica in quanto di fatto controlla il cuore di una importante zona economica della Sicilia Occidentale. Qui ci sono tantissime attività economiche di varia dimensione ed importanza che costituiscono uno dei valori e delle ricchezze, in termini non solo economici ma anche sociali, di quel territorio e che da sempre sono state oggetto di interesse mafioso in diverse forme e con diverse modalità.

Nel corso delle indagini sono state ascoltate ore ore di conversazioni e intercettazioni telefoniche di Giovanni Di Lorenzo, soprannominato Giovanni a morte che si muoveva nel territorio per conto di Salvatore Mulè in carcere. Di Lorenzo era stato arrestato il 9 settembre 1999, e scarcerato il 6 settembre 2007.

Per fare comprendere chi comandava nel mandamento il gruppo di Gregorio Agrigento ha utilizzato tutti gli strumenti ad iniziare dagli incendi d’auto.

Il 14 dicembre 2013 veniva data alle fiamme l’autovettura Audi A3 di colore nero targata, intestata e in uso a Giovanni Battista Licari, come si evinceva dal contenuto della conversazione telefonica del 14 dicembre 2013 atteso che anche in questa circostanza l’incendio non era stato denunciato (“Sono venuti a bruciarmi l’Audi…non sono riusciti a bruciarla perché sono arrivato a spegnerlo” ).

Nel dialogo ambientale registrato il 23 dicembre 2013 Giovanni Di Lorenzo colloquiando con Salvatore Gaeta, attribuiva il motivo dell’atto intimidatorio al fatto che che questi intendeva assoggettarsi al nuovo gruppo di potere egemone sul territorio di San Giuseppe Jato (Per cretinagine! Se uno di questa strada non ne vuole, con te non si ci trova … omissis … dice: mi devo fare annagghiare (incastrare n.d.t.)… dice: di nuovo? Mi fanno arrestare un’altra volta, dice! … omissis … loro vanno parlando, dice: e poi inculano a me e ad altri pure, dice: perché hanno questa abitudine! Farsi grandi, hai capito?…omissis perché tu lo devi fare “abbuccarì” (cadere, ndt.)… Gliel’ho detto in faccia! Quello già viene da un passato con loro!”).

Il 30 dicembre 2013 veniva danneggiata l’autovettura Renault di Giovanni. Il 21 maggio del 2014 in fiamme l’autovettura Smart, di Veronica Madonia figlia Vincenzo Madonia, ritenuto esponente di rilievo della famiglia mafiosa di Monreale sino al suo arresto il 8 aprile del 2013 e condannato con sentenza del Gup del Tribunale di Palermo del 19 dicembre del 2014.

Il clima di tensione era altissimo. Il 9 gennaio 2014 Giovanni Di Lorenzo parla con il padre Francesco e racconta che la sera precedente aveva dovuto mettere la propria autovettura in garage per paura che gliela bruciassero. (“Minchia uno no ne vuole sentire e loro… stanno pungendo quanto vanno a finire tutti da loro! Hai capito cos’hanno fatto ?”). Saverio pure ci viene? Eh. Ah? Minchia stanotte …ine…, bruciano …ine… Un via vai di sbirri! Ah? Che è? Tutta la nottata via vai di sbirri… ieri sera ho entrato la macchina! Mmh! Ci sono stati quei cornuti che hanno girato, con quel minchia di cosa! Mmh! Ho detto “prima che mi bruciano la macchina, la metto dentro! ” Minchia ancora devono continuare a dare fuoco? No, devono buttare il sangue! Devono buttare il sangue!