Due anni di carcere per il sindaco di Casteldaccia Giovanni Di Giacinto e un anno e 10 mesi per il proprietario della villetta Antonio Pace. Assolta l’architetto e responsabile della Protezione civile comunale Maria De Nembo perché il fatto non sussiste.
La seconda sezione della Corte d’appello di Palermo ha rideterminato le pene per gli imputati della tragedia di Casteldaccia che costò la vita a nove persone, rimaste intrappolate dentro una villetta travolta dalle acque del fiume Milicia. In primo grado le pene erano state di tre anni.
L’architetto De Nembo è difesa dall’avvocato Pasquale Ninni Contorno, il sindaco di Giacinto da Nino Zanghí e Pietro Siracusa, il proprietario della villetta da Mariangela Cicero.
La costruzione era abusiva e una sentenza del Tribunale del 2010 imponeva di demolirla. Un ordine disatteso, tanto che era stata presa in affitto da Giuseppe Giordano e dalla sua famiglia che vi trascorrevano le festività e i fine settimana.
Il 3 novembre 2018 nella tragedia persero la vita Francesco Rughoo, Monia, Antonio, Marco, Federico e Rachele Giordano, assieme a Nunzia Flamia, Matilde Comito e Stefania Catanzaro. Secondo la ricostruzione dell’accusa, la tragedia poteva essere evitata. I familiari delle vittime si sono costituiti parte civile con l’assistenza degli avvocati Anthony De Lisi, Enrico Tignini, Miriam Lo Bello, Carmelo Adamo, Angela Ajello, Barbara Mistretta, Giuseppe Meli, Maria Valentina Morgana.
La morte dei nove familiari avvenne per l’esondazione del torrente Milicia il cui letto per lo più sempre senz’acqua era pieno di rifiuti.
La villetta, che fu invasa da un’onda di fango alta sette metri. In quei giorni di festa del 2018 venne presa in affitto da Giordano e dalla sua famiglia. Furono giorni di piogge estremamente abbondanti, tanto che il fiume Milicia esondò e l’immobile di Pace fu invaso dal fango. Una trappola mortale per quanti si trovavano dentro.
Fu subito aperta un’inchiesta dalla Procura di Termini Imerese, guidata da Ambrogio Cartosio, e con una perizia si stabilì che la piena del fiume fosse un evento eccezionale, ma anche che in quei giorni era stata diramata un’allerta meteo. Secondo l’accusa, la protezione civile del Comune di Casteldaccia avrebbe dovuto attrezzarsi meglio per fronteggiare l’evento, per quanto straordinario. I periti hanno anche messo in luce che già il primo novembre del 2018 in contrada Dagali aveva piovuto molto e come quella zona fosse comunque a rischio idrogeologico e di esondazione “con pericolosità elevata”. La sera della strage, poi, la portata del Milicia sarebbe passata da sessanta metri cubi a ben mille.
Sempre secondo la Procura, il Comune guidato allora come ora da Di Giacinto sarebbe stato informato dell’allerta meteo e avrebbe anche saputo che quella villetta era abusiva. I difensori del sindaco, gli avvocati Nino Zanghì e Pietro Siracusa, però, hanno portato nuovi elementi con un dossier che dimostrerebbe come l’imputato non avrebbe mai potuto evitare quell’alluvione, provocata a monte, ben lontano da contrada Dagali, dove l’alveo del Milicia sarebbe stato ostruito da tonnellate di detriti, precisamente gli scarti dei lavori per l’ammodernamento della statale 121.






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