Cenerentola? Sfila sul red carpet e la carrozza è una spider rossa. La protagonista della favola di Perrault acquista un carattere personalissimo nella regia di Giorgio Barberio Corsetti, uno dei protagonisti più interessanti della scena contemporanea, che rilegge sotto una luce surreale il capolavoro di Rossini nel nuovo allestimento dell’opera che debutta al Teatro Massimo domani, 19 aprile. La Cenerentola di Barberio Corsetti (allestimento in collaborazione con il Teatro delle Muse di Ancona) è innovativa innanzitutto nella realizzazione scenica, affidata a un ricchissimo impianto video che utilizza la tecnica del chroma key. Ma è innovativa anche nella regia, che ambienta l’opera negli anni Sessanta del secolo scorso e ne fa una favola sospesa in una dimensione onirica, dove i desideri, i sogni, le illusioni sono proiettati sullo schermo e i personaggi sono come marionette attraversate dalla musica.

Sul podio c’è Gabriele Ferro, direttore musicale del Teatro Massimo. Don Ramiro, il principe, è René Barbera; Angelina, cioè Cenerentola, è Chiara Amarù; don Magnifico è Paolo Bordogna; il cameriere Dandini, che si finge principe, è Riccardo Novaro; Alidoro è Gianluca Margheri. Scene di Giorgio Barberio Corsetti e Massimo Troncanetti, costumi di Francesco Esposito, lighting designer Gianluca Cappelletti, assistente alla regia Cecilia Ligorio, ideazione e realizzazione video Igor Renzetti, Lorenzo Bruno, Alessandra Solimene. Orchestra e Coro del Teatro Massimo, maestro del Coro Pietro Monti, maestro al cembalo Steven Rizzo.

La Cenerentola è l’opera con la quale giunge al termine la straordinaria produzione comica di Gioachino Rossini (1792-1868), composta da altri due capolavori: L’italiana in Algeri e Il barbiere di Siviglia. L’opera infatti, come La gazza ladra immediatamente successiva, tende piuttosto verso la commedia larmoyante, pur non mancando i momenti farseschi. Rossini apporta in Cenerentola una ventata di grandi novità che riguardano non solo lo stile musicale, ma soprattutto la concezione generale del dramma, che prende la forma di una commedia realistica. Il compositore decide infatti di allontanarsi dalla dimensione magica e fiabesca sulla quale si imperniava la favola di Perrault, da cui è tratto il soggetto dell’opera. Il libretto, scritto dal romano Jacopo Ferretti in soli ventidue giorni, è ispirato a una fortunata opéra-comique del 1810: la Cendrillon di Nicolò Isouard su libretto di Charles-Guillaume Étienne.

“Sono molto contento – afferma il Sovrintendente Francesco Giambrone – di questa produzione che vede il teatro in un grande fermento creativo e laboratoriale, per un’opera della grande tradizione messa in scena in maniera particolarmente innovativa. Giorgio Barberio Corsetti e Gabriele Ferro stanno creando una nuova visione, interessante, curiosa e stimolante di un capolavoro che tutti conosciamo: l’uno lavorando sui linguaggi delle scene, l’altro sulla prassi esecutiva musicale. Quando un teatro offre al suo pubblico tanti elementi di curiosità, svolge pienamente il suo compito di luogo di costruzione e visione culturale.”

“Le varie tecniche che abbiamo usato in questo spettacolo – dice il regista – sono il frutto di una ricerca condotta da me in prima persona e insieme al gruppo Officine K, realizzando spettacoli ma anche cercando di far evolvere un linguaggio delle immagini dentro gli spettacoli. Alle spalle c’è la mia esperienza fatta a Reggio Emilia e poi in Francia, con La pietra del paragone di Rossini e La belle Hélène di Offenbach con un video artista francese, Pierrick Sorin, e poi l’esperienza de Le streghe di Venezia. Sono due tecniche diverse che si uniscono: da una parte abbiamo la possibilità di far agire i cantanti all’interno di scenografie o, come in questo caso, di disegni, che sono giustapposti attraverso la tecnica del chroma key; dall’altra la possibilità di ‘dipingere’ le scenografie con delle proiezioni video, che sono mappate e vanno a ricoprire esattamente dei punti delle scenografie. L’unione di queste due tecniche crea un mondo immaginario onirico parallelo a quello reale e concreto della scena”.

Ogni personaggio è una creatura viva e reale: al posto della fata c’è il saggio Alidoro (basso); al posto della matrigna, don Magnifico (basso), il patrigno altrettanto spietato e malvagio; Dandini (basso), il simpatico cameriere che aiuta il principe Don Ramiro (tenore) nella sua impresa; Clorinda (soprano) e Tisbe (mezzosoprano), le sorellastre sciocche e viziate; e infine Angelina (contralto), dall’animo nobile e gentile, che vive facendo da serva al patrigno e alle sorellastre, sognando tuttavia un futuro migliore.
Alle immagini proiettate sulla scena il compito di proiettare lo sguardo di Cenerentola, la sua illusione, l’altra realtà. “Cenerentola è una ragazza moderna, e abbiamo scelto la modernità della fine degli anni ’60 – spiega Barberio Corsetti – perché si tratta di una modernità quasi mitica ma vicina a noi e che conosciamo bene, potremmo dire che ci appartiene. E si tratta di un momento di rivoluzione, il momento del boom economico. Cenerentola viene catturata dal mondo delle immagini e dell’apparire, è Alidoro che la spinge a entrare in questo mondo: è lui che all’inizio fa arrivare in scena i cartelloni pubblicitari che attirano Cenerentola”.

Così se l’incontro tra Angelina e il principe (un vero e proprio colpo di fulmine) è tradotto da Rossini nella sospensione incantata del duetto “Un soave non so che”, le immagini video mostrano due cuori improvvisamente uniti da un intreccio di vene. Mentre, quando Alidoro prepara Angelina per la festa, le dà non soltanto i vestiti ma anche un corpo nuovo. “La rifà tutta, è un chirurgo plastico, le dà il corpo che lei desidera, quello di una star”, aggiunge il regista. Mentre il patrigno, don Magnifico, è un manesco che si aggira in scena con un pacchiano doppiopetto.

La Cenerentola presenta un’ardua e complessa vocalità, specialmente per quanto riguarda i personaggi di Ramiro e Angelina, due personaggi che si avvicinano a quelli delle grandi opere serie del compositore. Attraverso il trionfo di virtù e virtuosismo, Rossini anticipa ingegnosamente la convenzione della grande aria finale della protagonista, che sarà tipica in Bellini e Donizetti.