Lo devo ammettere. Ogni volta che suona il ‘silenzio fuori ordinanza’ per me è un tuffo al cuore. Sarò un sentimentale o forse solo un destrorso che crede ancora agli eroi della ‘patria’ e che vorrebbe una coscienza civica diversa. Però, nonostante siano passati 24 anni, quel ‘silenzio fuori ordinanza’ suonato davanti all’albero Falcone al pomeriggio del 23 maggio mi fa ancora effetto.

Forse perchè quel 23 maggio c’ero e non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie. Forse perchè, sia pure ragazzo, c’ero anche il 3 settembre di dieci anni prima, il 1982 e nonostante i miei 16 anni fui preso dallo sconforto. Forse perché ogni tanto la notte mi sveglio ricordando immagini rimaste indelebili nella mia memoria, quelle del 19 luglio del 1992, la strage Borsellino, che vidi in tutta la sua cruenza arrivando perfino prima delle forze dell’ordine perchè mi trovavo in zona quando esplose la bomba e, a causa dell’istinto del giornalista, girai subito l’auto per andare verso quella colonna di fumo.

Fatto sta che il ricordo mi colpisce ancora e non me ne vergogno, tanto da raccontarlo in prima persona come non è mia abitudine fare su questo giornale.

Ma se il ricordo è obbligatorio, la coscienza civile necessaria, l’insegnamento ai nostri giovani un dovere civico ed anche l’unico modo per tentare una vera lotta alla mafia, parimenti è ormai stucchevole la retorica di questa antimafia che non colpisce e non impegna. Una retorica che i siciliani ormai conoscono e non sopportano più.

Ce lo dice, se mai ce ne fosse bisogno, la scarsa attenzione alle celebrazioni riservata dal web a ogni articolo che riguarda questi eventi. Ce lo dice, in realtà, la scarsa tensione sociale che quest’anno si registra intorno a questo 24esimo anniversario della strage. E non si tratta solo del fatto che è ormai passato quasi un quarto di secolo.

C’è una antimafia ‘professionale’ politicante ormai smascherata che non trova il coraggio di presentarsi alle manifestazioni, c’è un livello di governo che non ha più credibilità di alcun tipo, e ci sono i rappresentanti politici nazionali che fanno ciò che devono perché non esserci sarebbe forse peggio e certamente li trasformerebbe in bersagli della polemica.

Ma c’è di più, molto di più ad allontanare la coscienza civile da queste passerelle. C’è l’uso improprio e spesso politico che si è fatto di questi eventi, caricati di significato quando al governo c’era qualcuno non gradito ai signori dell’antimafia, relegato a margine della coscienza stessa quando al governo c’è qualcuno che può essere infastidito dalla polemica o la cui azione deve essere ‘chiaramente’ antimafiosa a prescindere.

Io ricordo Giovanni Falcone e Francesco Morvillo, ma ricordo anche Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Io ricordo Paolo Borsellino ma anche Emanuela Loi, Claudio Traina, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e ricordo anche Antonino Vullo che si è salvato in via D’Amelio e Giuseppe Costanza che si è salvato sull’autostrada. Ricordo anche tanti altri dimenticati perchè uccisi con o senza le bombe.

Ricordare è un diritto ed un dovere, insegnare è un obbligo morale e sociale ma la passerella no, proprio non va più giù. E come me penso a tanti palermitani e siciliani. Forse da Napoli in su non capiranno e forse è anche un bene che sia così. Ma Palermo è stufa e vuole ricordare e combattere senza tributare vantaggi sociali e politici ai professionisti dell’antimafia e senza regalare notorietà inutili.

Forse è il momento di ripensare tutta questa antimafia e perfino ripensare il ricordo stesso e la sua organizzazione perché non ci si debba più confrontare su questi temi compresa la ‘retorica’ antimafia.

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