L’inaugurazione della stagione 2018 del Teatro Massimo, martedì 23 gennaio alle 19.30, vedrà in scena Guillaume Tell di Gioachino Rossini, un’opera che non viene rappresentata da oltre cinquant’anni al Teatro Massimo e che viene proposta per la prima volta nella versione originale in lingua francese.
Ultima opera del compositore pesarese, scritta nel 1829 per il Théâtre de l’Académie Royale de Musique (poi divenuto l’Opéra di Parigi), ispirandosi al dramma omonimo di Schiller, è l’opera che costituisce lo spartiacque tra il mondo dell’opera rossiniana e quello del grand opéra romantico. Grandi scene di massa, una tempesta sul lago, l’aspirazione di un popolo alla libertà: tutti elementi che rendono Guillaume Tell un modello imitatissimo nei decenni successivi per l’opera francese e italiana.
Anche sul piano vocale quest’opera costituisce il momento in cui, per citare Marco Beghelli, l’opera “viene traghettata dagli ultimi fasti classicistici (per non dire tardobarocchi) alla nuova estetica romantica”: se il primo interprete del personaggio di Arnold, il tenore Adolphe Nourrit, è uno dei cantanti più apprezzati da Rossini, dieci anni dopo il personaggio viene invece riletto da Gilbert Duprez in una visione più eroica, con la cosiddetta “invenzione del Do di petto”, segnando un cambiamento nel modo di interpretare il personaggio che continuerà per oltre un secolo.
Il direttore musicale del Teatro Massimo, Gabriele Ferro, grande interprete rossiniano, dirige un cast di specialisti del belcanto: Roberto Frontali (Guillaume Tell), Dmitry Korchak (Arnold Melcthal) e Nino Machaidze (Mathilde) debuttano nei rispettivi ruoli; nel secondo cast, a partire dal 27 gennaio, Davide Damiani (Guillaume Tell), Enea Scala (Arnold) e Salome Jicia (Mathilde). Insieme a loro Marco Spotti (Walter Furst), Emanuele Cordaro (Melcthal), Anna Maria Sarra (Jemmy), Luca Tittoto (Gesler), Enkelejda Shkoza (Hedwige), Matteo Mezzaro (Rodolphe), Enea Scala (Ruodi) che per l’inaugurazione del 23 gennaio sostituirà Pietro Adaini indisposto, Paolo Orecchia (Leuthold) e Cosimo Diano (Un chausseur).
La regia di Damiano Michieletto, con le scene di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti e le luci di Alessandro Carletti, messa in scena per la prima volta dalla Royal Opera House Covent Garden di Londra nel 2015, ambientata in epoca moderna, aggiunge inoltre la presenza di un personaggio muto, il Guglielmo Tell storico (affidato ad Alberto Cavallotti): uscito dalle pagine di un fumetto, è l’unico in abito medievale. Questo personaggio si ricollega ad uno dei tre temi dell’opera di Rossini che Michieletto sviluppa con particolare attenzione, quello del rapporto tra padre e figlio: la fiducia di Jemmy nell’abilità del padre, il suo vederlo come un eroe, è la base che permetterà a Guillaume Tell di diventare veramente il liberatore sognato dal figlio; mentre nella tragica morte del padre Arnold troverà il coraggio di impegnarsi in difesa della patria.
Proprio la patria è il secondo tema: a differenza di quanto avverrà nelle opere risorgimentali di Verdi, nel Guillaume Tell il concetto di patria non è legato alla politica, ma alla natura, presente in modo potentissimo nella partitura: è un concetto che nelle scene di Paolo Fantin viene rappresentato dal grande albero caduto (del peso di 3,5 tonnellate) che occupa il centro del palcoscenico e intorno al quale si svolge l’azione. Un albero con le radici esposte, circondato dalla terra, a simboleggiare la profondità del legame dell’Uomo con la Patria e il trauma che questo rapporto ha subìto. Alla fine dell’opera un nuovo albero sarà piantato, simbolo della rinascita e della fiducia nel futuro espressi dalla musica di Rossini.
Il terzo tema si ricollega al primo: la rivolta di Tell infatti nasce dal desiderio di salvare dalla furia degli invasori austriaci Leuthold, che ha ucciso il soldato che voleva violentare la sua unica figlia (così come già nel dramma di Schiller, dove ad essere insidiata è la moglie di uno dei personaggi). Per la scena di ballo, un pezzo d’obbligo per l’Opéra di Parigi, Rossini prevede che i soldati austriaci costringano a danzare le donne del luogo, destando lo scontento degli svizzeri. Proprio in questo punto, quindi in perfetta rispondenza con quanto descritto dalla musica di Rossini, Michieletto inserisce una toccante scena in cui una donna viene invitata a bere da Gesler e dai suoi uomini e molestata. La violenza contro la patria viene dunque associata da Rossini alla violenza contro le donne: Hedwige privata del marito, Mathilde costretta a rinunciare ad Arnold, le donne svizzere separate dai mariti e fidanzati; una tematica che Michieletto riprende fedelmente dal libretto.
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