Generalmente, in un panorama editoriale come l’attuale eccessivamente condizionato da esigenze di mercato e poco attento ai valori etici, nella rappresentazione della piaga della prostituzione tende a prevalere un discutibile gusto per il peccaminoso e per tutto ciò che accende nei lettori fantasie morbose.

Così non è per il romanzo di Giankarim De Caro “Malavita” pubblicato da Navarra e giunto in poco tempo alla sua terza edizione. De Caro, al suo esordio narrativo (ma a “Malavita” ha fatto già seguito “Fiori mai nati” anch’esso edito da Navarra), si immerge in un realtà di degrado sociale raccontando le vite di due generazioni di prostitute senza indugiare su particolari maliziosi volti a stuzzicare i lettori.

Al contrario, il giovane scrittore descrive la condizione di povertà e umiliazione in cui si trovano le protagoniste del romanzo, dedite al mestiere più antico, con crudo realismo non evitando raffigurazioni impietose che stimolano nel lettore repulsione e condanna per i costumi sociali presenti in contesti dominati da cinismo e aberranti ingiustizie.

E’ la Palermo dei primi del Novecento, apparentemente “felicissima” nelle illusioni della Belle Époque e poi stravolta dai due conflitti mondiali sino al secondo dopoguerra, che fa da sfondo alle vite di Lucia e delle sue figlie Provvidenza, Pipina e Grazia, tutte sprofondate nei vortici dello sfruttamento dei loro corpi con “protettori” ignavi e privi di scrupoli e, con a margine delle proprie esistenze, figuri esecrabili di un’aristocrazia non certo esemplare.

Seppure attento all’ambientazione ed efficace nel rappresentare il fascismo e il post-fascismo anche nei suoi aspetti di opportunistico rinnego all’adesione al regime, “Malavita” non può considerarsi un romanzo storico. La storia fa da cornice alla narrazione delle vicende umane delle donne cui si offre il primo piano, delinea i contorni dentro cui si muovono le loro esistenze, ma non ne costituisce l’epicentro.

Piuttosto, se si è in cerca di un’etichettatura, “Malavita” può definirsi a buon diritto un romanzo di denuncia. Ciò che preme all’autore è far emergere lo stato di estrema fragilità e subalternità delle donne delle classi sociali più disagiate, la sopraffazione dei ceti dominanti, l’abietta complicità di chi opera al suo servizio. Fedele al suo obiettivo, De Caro non teme di scalfire i comuni canoni estetici talvolta calcando la mano nel ritrarre scene raccapriccianti.

Alla sua prima prova narrativa, De Caro rivela buone capacità –suscettibili senz’altro di essere affinate- e sa conquistare l’attenzione di chi legge con uno stile asciutto, serrato e incalzante.
Particolare non trascurabile, e anzi rivelatore della sostanza di un romanzo di scorrevole lettura qual è “Malavita”, è la dedica: “alle donne”. De Caro ne racconta le vite infelici non solo schivando ogni moralismo perbenistico, ma stando al loro fianco.

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