“Mio padre sapeva di rischiare la vita, ma è rimasto lì senza paura a servire il Paese”: così  Marco Intravaia ha raccontato a Talk Sicilia il sacrificio del proprio padre, il vicebrigadiere dei Carabinieri Domenico Intravaia, morto a Nassiriya  il 12 novembre del 2003.

La strage di Nassiriya

Era il 12 novembre del 2003.  Alle 8.45 del mattino, la palazzina del comando militare italiano della missione Antica Babilonia viene fatto esplodere da un attentato kamikaze.  È la strage di Nassiriya. Il bilancio sarà di 50 morti, 25 sono le vittime italiane. Tra quei caduti c’è anche il vicebrigadiere Intravaia di Monreale. Non è l’unica vittima siciliana.

“Erano arrivati parecchi warning, ma nessuno s’è tirato indietro”

“Tutti i familiari dei carabinieri o comunque delle forze dell’ordine sanno quanto sia rischioso il lavoro del proprio caro e sanno che ogni giorno c’è il rischio di non tornare a casa. Mio padre era un militare esperto – ricorda Marco Intravaia – perchè aveva già fatto altre missioni all’estero. Quella in Iraq era una missione del tutto diversa rispetto alle precedenti. C’era molta tensione, il contesto era ancora bellico e quindi anche l’atteggiamento di mio padre – che noi riusciamo a percepire al telefono-  era diverso. Un atteggiamento sicuramente di chi è preoccupato per la propria vita e non solo. Ed è quello che poi abbiamo scoperto chiaramente subito dopo la strage. Avevano avuto tantissimi warning da parte dei servizi segreti americani e inglesi che mettevano in guardia da un imminente attentato nei confronti dei militari italiani. Questo non gli consentiva di vivere serenamente. Ma nonostante questo sono rimasti lì, a Nassiriya, sino all’ultimo giorno della loro vita, a servire il Paese.