La commissione tributaria provinciale di Palermo, Sez. 11, (presidente Carlo Lo Monaco, relatore Francesco Albo) ha annullato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate di Palermo nei confronti della società di distribuzione Trade Service srl alla quale era contestata l’emissione di fatture, per un imponibile complessivo di 106.828 euro nei confronti della società “Albatron spa”, sulla base di dichiarazione d’intento false ideologicamente e relative ad operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di una frode carosello Iva.

La società, difesa dall’avvocato Angelo Cuva e dall’avvocato Santo La Placa, ha impugnato l’avviso di accertamento obiettando che l’ufficio non aveva fornito validi elementi indiziari e presuntivi dotati dei necessari caratteri della gravità, precisione e concordanza, idonei a dimostrare la conoscenza o la conoscibilità della frode contestata e delle operazioni fittizie che sarebbero state eseguite dalla Trade Service,. L’agenzia si sarebbe limitata piuttosto a richiamare una serie di circostanze che non avrebbero fornito la prova di quanto contestato.

La società di contro ha fornito idonee e specifiche prove sull’effettività e sussistenza delle operazioni in questione e alla regolarità dei rapporti con la società acquirente producendo una copiosa documentazione. La difesa ha, anche, prodotto la sentenza del Tribunale di Palermo con la quale l’amministratore della Società è stato assolto con formula piena perché il fatto non sussiste nel procedimento penale avviato per i medesimi fatti.

La commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso affermando, anche sulla base della giurisprudenza di legittimità richiamata dalla difesa, che “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente”.

In particolare i giudici hanno rilevato che “ gli elementi indiziari forniti dall’Agenzia delle entrate non sono idonei a provare la sussistenza di tale indefettibile elemento psicologico, avendo il ricorrente fornito piena prova, come peraltro acclarato anche in sede penale, dell’espletamento dei controlli formali e sostanziali che poteva effettuare, acquisendo nel caso di specie il certificato di iscrizione alla camera di commercio, lo statuto, l’atto costitutivo e la relativa visura camerale”.

“Sul tema dell’onere della prova appare particolarmente rilevante – afferma l’avvocato Cuva, la recente ordinanza della Cassazione (n. 22969/2021), richiamata in giudizio, che ribadisce chiaramente, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria, che per la contestazione delle operazioni soggettivamente inesistenti l’Amministrazione finanziaria deve provare non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione di imposta”.