Una nuova conquista per sconfiggere la leucemia. Oggi è forse l’alba di una nuova frontiera per tutti coloro che soffrono di tumori del sangue.

Questa realtà si deve al talento e alla ricerca che combattono ogni giorno centinaia e centinaia di ricercatori, affrontando speranze, delusioni, senso di impotenza. Ma non si sono arresi tre ricercatori, dei quali una italiana. La dr.ssa Francesca Bonifazi, ematologa presso il Sant’Orsola di Bologna che, assieme ai colleghi Nicolaus Kroger di Amburgo e Carlos Solanos di Valencia, ha scoperto una cura innovativa salvavita per i trapiantati, non più a rischio per le complicazioni post trapianto con cellule staminali.

Da ieri il suo nome appare sulla rivista New England Journal of Medicine, nel settore la più prestigiosa a livello mondiale. Sposata, 46 anni e madre di tre figli, da dieci è applicata a questo studio che era diventato una ragione di vita. La sua costanza si alimentava giorno dopo giorno, vedendo i suoi pazienti e la loro disperazione. Questa patologia riferita ai trapianti si chiama “Gvhd”, appunto la “malattia dell’ospite”.

In che cosa consiste? Quando si effettua il trapianto, si trasferiscono per via endovenosa nel malato i linfociti del donatore, cioè il suo sistema immunitario. Queste cellule combattevano la malattia ma attaccavano anche gli altri organi del malato, causandone la morte o una qualità di vita terribile.

Lo strumento per salvare il malato diventava così causa di una non vita. La terapia innovativa consiste nell’iniettare, durante la chemioterapia effettuata in previsione del trapianto, un siero che rallenta l’attività dei linfociti che è quella di combattere il tumore senza aggredire altri organi, causando situazioni di gravità, molte volte, mortale. Se, invece, i linfociti vengono usati secondo le esigenze dei medici, con un farmaco che è in grado di bilanciarne e condizionarne l’azione, i risultati sono ben altri.

Nello studio effettuato dalla Bonifazi su 161 pazienti che si sono prestati alla sperimentazione, in due anni, il rischio è sceso dal 68,7% al 32%. Addirittura, nei casi più gravi, la percentuale è più alta. “Sono orgogliosa e fiera di dire che una grossa parte di questo studio è italiana. Che 90 dei 161 pazienti oggetto della sperimentazione sono italiani, li ho coordinati io. Oggi sappiamo come fare un trapianto – spiega Bonifazi – con rischi minori senza comprometterne l’efficacia.”.

Bonifazi da maggio presiede il Gitmo (Gruppo italiano per il trapianto di midollo osseo, cellule staminali emopoietiche e terapia cellulare), la più importante società scientifica nell’ambito del trapianto di cellule staminali emopoietiche in Italia. “Questo è lo studio della mia vita, ha detto la dottoressa Bonifazi, al quale lavoro da dieci anni. Ho cominciato quando un paziente mi ha detto: “Forse era meglio che mi lasciasse morire invece che operarmi”.

La sua costanza e la sua dedizione alla ricerca hanno fatto si che oggi possa aver assolto a quella ideale promessa che aveva fatto a se stessa quando si sentiva rivolgere dai suoi trapiantati frasi che scuotevano la sua sensibilità di donna e ricercatrice. Noi, ringraziando questi tre “vincitori” li ringraziamo e ci auguriamo che tutti coloro, dalle Associazioni alle Fondazioni che finanziano la ricerca continuino a farlo coadiuvati dallo Stato perché nessun valore è più alto e sacrosanto quanto quello della Vita.

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