La Corte d’Assise di Palermo presieduta da Vincenzo Terranova, giudice a latere Mauro Terranova, ha condannato Pietro Morreale, alla pena dell’ergastolo. Il giovane di Caccamo è accusato di avere ucciso Roberta Siragusa la notte tra il 23 e 24 gennaio gennaio del 2021.

Il processo

La prima udienza si è svolta il 1 marzo di quest’anno. Alla prima udienza Pietro Morreale ha partecipato in videoconferenza. Anche oggi non è stato presente in aula.

L’imputato è accusato di omicidio aggravato e occultamento di cadavere.

Si sono costituiti parti civili i genitori di Roberta, il fratello, la nonna di Roberta,  il Comune di Caccamo e tre associazioni che hanno come scopo quello di contrastare la violenza di genere.

Pietro Morreale è difeso dall’avvocato Gaetano Giunta, ha più volte reiterato la richiesta di giudizio abbreviato, sollevando una questione di illegittimità costituzione di cui all’art. 438 cpp, avuto riguardo al divieto di celebrazione del processo penale con le forme del rito abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo.

Le parti civili sono difese dagli avvocati Simona La Verde, Sergio Burgio, Giovanni Castronovo e Giuseppe Canzone. Il pm che ha coordinato le indagini e sostenuto l’accusa Giacomo Barbara.

Alla lettura del dispositivo sono presenti tutti i parenti di Roberta, il padre la madre il fratello, la nonna zia e cugini e tanti amici.

Avvocati, Giovanni Castronovo, Giuseppe Canzone, Simona La Verde e Sergio Burgio

I risarcimenti alle parti civili

La corte ha dichiarato Pietro Morreale interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale per la durata della pena. La corte ha condannato il giovane accusato di avere ucciso Roberta Siragusa al risarcimento del danno alla madre Iana Brancato per 225 mila al padre Filippo Siragusa, 229 mila e al fratello Dario, 209 mila euro e in favore della nonna Maria Barone a 117 mila euro.

Pietro Morreale dovrà risarcire il Comune di Caccamo con una provvisionale esecutiva di 15 mila euro. Respinte le richieste di risarcimento da parte di alcune associazioni che si battono contro la violenza sulle donne.

La mamma di Roberta dopo la lettura della sentenza

“Giustizia è fatta. Non ci aspettavamo meno dell’ergastolo. Ora Roberta può riposare in pace. Adesso bisogna cercare i complici. Per come ha tolto la vita a mia figlia non deve averne più una di sua”. Lo dice Iana Brancato, madre di Roberta Siragusa uccisa a Caccamo. “Ora la nostra battaglia – aggiunge – per avere piena per la morte di Roberta continua, deve pagare anche chi ha aiutato Pietro Morreale ad uccidere mia figlia in quella maniera così atroce”

In aula ci sono anche il padre e il fratello della vittima e una trentina di amici, con la maglietta che raffigura il volto della giovane uccisa. C’è scritto: “Giustizia per Roberta”.

Gli episodi di violenza

“Che si fosse trattato di un omicidio lo dimostrerebbero i 33 episodi di violenza subiti da Roberta nei mesi antecedenti alla morte”, hanno ricostruito gli avvocati di parte civile.

Per ultimo quello riferito da un testimone: “Quattro giorni prima del ritrovamento del cadavere, avvenuto nel gennaio 2021, Morreale avrebbe stretto una corda attorno al collo di Roberta”.

Non si sarebbe rassegnato alla fine del loro fidanzamento. Una volta commesso il delitto, secondo i legali di parte civile, il ventenne imputato avrebbe invitato un amico a giocare on line di notte alla Play Station e ha inviato dei messaggi telefonici a Roberta per chiederle come stava e dove si trovasse. Durante l’udienza è stato ripercorso quanto successo quella notte a Caccamo.

Fotogrammi decisivi

Ogni passaggio ogni spostamento di quella notte è stato ricostruito grazie a decine di fotogrammi dei sistemi di videosorveglianza che hanno ripreso tutti gli spostamenti compiuti dall’imputato quella sera. Particolare attenzione è stata rivolta all’analisi del video in cui si vede la fiammata che avrebbe avvolto il corpo di Roberta.

I legali hanno chiesto alla Corte di trasmettere gli atti alla Procura affinché si continui a indagare sulla eventuale presenza di complici che potrebbero avere aiutato il giovane a fare sparire il corpo.

Una circostanza che emergerebbe dal fatto che all’indomani, quando Morreale accompagnò i carabinieri, non riconobbe subito il luogo dove si trovava il cadavere.

Il giallo della sciarpa

E poi c’è il giallo di una sciarpa consegnata alla madre di Roberta, ma che in realtà, secondo i legali, apparterebbe ad un parente dell’imputato. Era stata ritrovata a Monte Rotondo, dove c’era il corpo della ragazza. In alcuni passaggi del suo esame, Morreale ha parlato al plurale. Si è confuso oppure davvero ha avuto dei complici? La prossima udienza sarà il 21 settembre. Sarà la volta dell’avvocato della difesa Gaetano Giunta. Poi la sentenza.

“Continuare le indagini”

Gli avvocati Giovanni Castronovo, Simona La Verde, Sergio Burgio e Giuseppe Canzone ritengono che bisogna continua a indagare perché per compiere l’omicidio Pietro Morreale avrebbe avuto dei complici almeno per abbandonare il corpo della giovane nel dirupo. Secondo la ricostruzione degli avvocati di Roberta è stata “stordita e bruciata viva nei pressi del campo sportivo”. Nessuno di loro crede alla tesi del suicidio. “Le evidenze scientifiche sono chiare, è stato un omicidio efferato e premeditato”, spiegano gli avvocati.

L’avvocato Sergio Burgio

La sentenza di condanna nei confronti di Pietro Morreale non servirà a riportare in vita Roberta, ma certamente gli renderà giustizia : oggi la Corte di Assise di Palermo ha riconosciuto Pietro Morreale autore dell’efferato omicidio della giovane Roberta.

Ci siamo limitati a riportare i fatti dapprima nella fase delle indagini preliminari e successivamente all’interno del processo e, a conclusione di ogni udienza ci rendevamo conto che quello che inizialmente era un sospetto si appalesava sempre di più come una certezza.

Il mio plauso va agli investigatori, i Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Termini Imerese e al dott. Giacomo Barbara, sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Termini Imerese.

Non hanno tralasciato nulla di intentato approfondendo tutti i temi di indagine senza alcun pregiudizio, spinti solo ed esclusivamente a ricercare la verità, a cercare di comprendere cosa fosse accaduto quella maledetta sera del 24 gennaio 2021: tutti gli indizi però conducevano ad una sola pista, e cioè a Pietro Morreale quale autore dell’omicidio e dell’occultamento del cadavere.

Per quanto riguarda la pena dell’ergastolo come uomo, come padre, come avvocato non posso esultare di fronte ad una siffatta condanna nei confronti di un ragazzo poco più che ventenne: un dramma all’interno di una tragedia.

Dall’altro lato però lo stesso ragazzo poco più che ventenne non ha fatto nulla per impedire che ciò accadesse: ha mantenuto un comportamento processuale senza  mostrare alcun pentimento e ha avuto l’ardire di negare perfino le prove che invece venivano sapientemente raccolte in contraddittorio tra le parti.

Non ha consentito a chi si apprestava a giudicarlo di potere prendere in considerazione un epilogo diverso.

Infine voglio esprimere la mia ammirazione e la mia stima per i genitori e il fratello di Roberta, che hanno mantenuto dall’inizio alla fine un comportamento esemplare nonostante fossero stati colpiti da una tragedia immane.

Mai si sono esposti a comportamenti scomposti o ad esternazioni finalizzate alla vendetta nei confronti dell’imputato: hanno sempre chiesto ad alta voce che venisse fatta giustizia per la loro figlia e oggi finalmente è arrivata con questa sentenza di condanna a carico di Pietro Morreale.

 

Articoli correlati