“Oggi si sta mettendo in discussione l’opportunità dell’ergastolo ostativo anche per chi appartiene all’organizzazione criminale mafiosa, un’indagine come quella nel quartiere Noce  dimostra che la rieducazione del condannato per chi ha fatto una scelta di appartenere a un’organizzazione strutturata come cosa nostra non ha alcun effetto. Questo deve fare riflettere”.

Lo ha detto il direttore della Direzione Centrale anticrimine (Dac) della Polizia Francesco Messina, commentando l’operazione della polizia “Intero Mandamento” che ha portato a 9 arresti nel quartiere Noce.

Legami con la struttura mafiosa mai recisi

“Si tratta – aggiunge Messina – per la maggior parte di soggetti che avevano cariche direttive già negli anni passati, hanno scontato la loro pena con provvedimento definitivo di condanna e sono tornati a fare esattamente quello che facevano prima. Questo vuol dire che i legami con la struttura mafiosa non vengono recisi dal carcere che è quello che dovrebbe accadere se non a patto dell’introduzione di un regime speciale. Io sono convinto che queste indagini rappresentino un punto di riflessione in relazione all’idea di modificare il trattamento carcerario e di consentire addirittura l’abolizione dell’ergastolo ostativo per chi ha fatto parte dell’organizzazione mafiosa”.

Anni di contrasti in Cosa Nostra

“La relativa giovane età degli indagati in questa operazione è frutto del contrasto in questi anni a cosa nostra. Oltre alla necessità di controllare il territorio e l’imposizione del pizzo, c’è anche la necessità del reclutamento di forze nuove sempre nel rispetto delle vecchie regole della struttura mafiosa – aggiunge Messina –
Anche in questo caso, come è successo a Brancaccio, c’è un atteggiamento remissivo da parte degli estorti. La strategia adottata alla Noce è l’imposizione del pizzo a tappetto: chiunque, anche quello che ha la bancarella abusiva, deve essere sottoposto a estorsione ognuno deve dare il suo contributo perché viene fornito un servizio di protezione.

Il ruolo di mediazione del “padrino”

Anche in questo caso c’è questa tendenza che se ci sono problemi si va dal capo, non vai dalla forze dell’ordine. Non c’è una collaborazione. Credo che sia il tentativo di ricominciare a creare le condizioni per assumere potere e creare capitale sociale che è la base per poi controllare tutto, anche il consenso. Su questo continuiamo ad agire con determinazione perché vogliamo andare oltre il contenimento del fenomeno mafioso. Noi dobbiamo pensare nel tempo alla riduzione a fisiologia di questo fenomeno quindi prima riusciamo a raggiungere i risultati che ci proponiamo meglio è. Abbiamo bisogno degli strumenti e torno al discorso del carcere: bisogna che ci sia una situazione carceraria che non consenta a questi soggetti di pensare che una volta usciti possano ricominciare e addirittura ripartire da dove avevano lasciato”.

Repressione libera il territorio

“In questi contesti la repressione è il primo passo perché apre la finestra e libera il territorio. C’è bisogno che lo Stato agisca con altri attori che non sono soltanto quelli che si occupano della pubblica sicurezza in senso tecnico. Palermo ha fatto grandi passo avanti da questo punto di vista. Se io guardo alla realtà palermitana e quella siciliana odierna e penso a 30 anni fa ci sono i cambiamenti.

Calabria di oggi come Sicilia 30 anni fa

“La Calabria adesso è com’era la Sicilia 30 anni fa. Il metodo di contrasto che non si basa solo sulla repressione, ma parte dalla repressione. Io credo che qui in Sicilia si siano stati fatti dei passi avanti, le coscienze sono state risvegliate. La partecipazione al 23 maggio è stata fortissima. Dobbiamo essere efficienti rispetto alla seconda fase, quella successiva alla mera repressione perché non puoi delegare alla procura e alle forze dell’ordine tutto, devi delegare anche agli altri attori. Io me lo ricordo com’era, era una Palermo plumbea, nera. Palermo ha raggiunto degli ottimi risultati ora dobbiamo stare attenti a non abbassare il livello di attenzione perché chiedendo il pizzo all’ambulante abusivo possono arrivare anche al grosso imprenditore. Perché se l’estorsione è a tappeto è a tappeto. Io credo che si siano gli strumenti per andare oltre. Sono ottimista. Certo la repressione ancora oggi è inevitabile. Non abbiamo ancora smesso con i soldati”.

Una manifestazione come quella del 23 maggio era impensabile anni fa e non succede in nessun altra parte di Italia. Io sono rimasto colpito dalla partecipazione, mi ha impressionato una città mobilitata grandi presenze”.

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