Altro che riavvicinamento e, tantomeno, tentativi di riappacificazione. Tra Tony Di Piazza e Dario Mirri è guerra aperta. Al confronto, Trump e la Cina sembrano pacifisti convinti. L’italoamericano, ha sferrato il primo colpo, dopo le dimissioni ratificate dal cda del Palermo appena pochi giorni fa perché di fatto privato di ogni possibilità di incidere sulle decisioni nella società. Ma la sua bordata è finita fuori bersaglio, non ha minimamente scalfito le mura del fortino di Mirri. Una nuova sconfitta, insomma. Il suo quaranta per cento non gli consentiva altro, mentre la posizione del presidente è salda e sicura, almeno sul piano sostanziale e dei numeri.
Perché lo ha fatto? Di Piazza pare agire d’impulso, almeno pare a chi ha poca dimestichezza con le strategie gestionali di una società. Impulsivo è sembrato il comunicato post cda di qualche giorno fa, che certificò le ragioni delle sue dimissioni in una sostanziale ininfluenza sugli atti compiuti dal club; impulsivo a tal punto che un post sull’addio a Pergolizzi, deciso – a dire dello stesso zio Tony – senza il suo avallo, fu prima pubblicato e poi cancellato dalla bacheca facebook.
Allo stesso modo andrebbe classificata la nuova mossa, ovvero la richiesta di immediata ricapitalizzazione di Hera Hora, la società che controlla il Palermo e nella quale, lui è minoritario. Perché questa mossa? Due sono le possibilità: provare a mettere in difficoltà Mirri, nell’ipotesi che attualmente non possa procedere a versare il danaro e, quindi tentare di sovvertire gli equilibri societari a suo vantaggio, o è una semplice mossa mediatica per cavalcare l’onda di simpatia e dimostrare agli scettici che lui, lo zio Tony, ha le potenzialità e la volontà per rendere il club più forte e solido economicamente, mentre la controparte – questo forse è il messaggio che vuol far passare – si oppone. Supposizioni, sia chiaro, ipotesi, possibili chiavi di lettura in un quadro nel quale i protagonisti parlano troppo, l’uno, o troppo poco, l’altro e, soprattutto, non spiegano nulla.
Ma Di Piazza lo sapeva e lo sa benissimo che questo genere di offensive partono già sconfitte perché non ha la forza dei numeri. L’uomo forte resta Mirri. Forte della quota di maggioranza, delle risorse che ha già assicurato per il budget destinato alla prossima stagione, ma anche dei risultati conseguiti fino a oggi dagli uomini che ha scelto, a partire da Sagramola. E, proprio per questo, non ha bisogno di parlare, di comunicare: dicono tutto i fatti. Il no alla proposta di Di Piazza è tutto tranne che una prova di debolezza.
Di Piazza non ha davanti a sé che due scelte: vendere davvero le sue quote e salutare il Palermo o fare una offerta di acquisto chiara, pubblica e concreta a Mirri per prendersi la società. Ma, nel primo caso, trovare un acquirente che si accontenti di entrare nella società in una posizione minoritaria e di replicare l’esperienza dell’italoamericano, cioè di non influire, è difficilissimo se non utopistico; nel secondo caso è alquanto improbabile che Mirri voglia vendere le sue quote e cedere il Palermo. Anzi, va avanti nella pianificazione della prossima stagione, la prima tra i professionisti.
L’imprenditore italoamericano resta quindi all’angolo costretto a sparare a vuoto. E la battaglia spaventa e disorienta i tifosi, rovina la soddisfazione per la promozione in Serie C. Non resta che aspettare la prossima bordata.

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