Spiace per le dimissioni di Tony Di Piazza da vicepresidente, ma le sue dimissioni sono lo sfogo impotente dello sconfitto.

Lo zio Tony ha conquistato le simpatie dei tifosi per la sua affabilità, per il suo entusiasmo, per il rapporto che aveva costruito coi palermitani, via social, e quel modo genuino e “popolare” che lo aveva trasformato in una sorta di “ambasciatore” del nuovo Palermo persino sugli schermi della tv di Stato come ospite frequente di Quelli che il calcio. Una immagine che si contrapponeva a quella più austera e formale di Mirri e Sagramola, più parchi nelle dichiarazioni e nelle esibizioni mediatiche, che pero’ sono state meglio studiate e più efficaci.

Lo spontaneismo di Di Piazza contrapposto alle mosse di un professionista della comunicazione e della pubblicità, come Mirri. Da un lato, il primo che alimentava le suggestioni sempre vive dello “zio d’America”, con l’implicito corollario delle tasche piene di dollaroni, dall’altro l’ancor più potente e vincente appello alla memoria col legame famigliare con l’indimenticabile presidentissimo Renzo Barbera del quale, ecco il colpo da maestro, sono state riproposte (non voglio scrivere imitate) persino le pose. Quella foto di Mirri seduto a bordo campo e’ fin troppo evocativa della immagine iconica di Barbera nella stessa posizione, durante una partita giocata in quello che ancora era il Comunale e, per tutti, “la Favorita”.

E, da un lato, Di Piazza che seguiva le partite in tv, oltreoceano, dall’altro Mirri, tifoso tra i tifosi nel suo posto da abbonato in gradinata. Qui restiamo nel campo dei simboli, dell’immagine, ma e’ una delle tante partite perse dallo zio Tony, in questi dieci mesi di vita del progetto Palermo.

Ragionandoci su, dopo lo choc delle dimissioni, qualche valutazione spontanea viene fuori, personale e confutabile, alla prova di fatti conosciuti soltanto dai protagonisti. E il primo pensiero è che quel comunicato di Di Piazza è lo sfogo di chi si rende conto del fallimento di una strategia che, a ben guardare, era perdente già in partenza.
L’italoamericano si è accodato a un progetto che era già ideato e partito senza di lui, che si era proposto per acquistare il Palermo. Si e’ accontentato di una quota di minoranza, del quaranta per cento, di fare il numero due. E, forte di questo, voleva contribuire alle scelte societarie, avere maggior voce in capitolo. Quelle tecniche e quelle gestionali.

Non c’è riuscito. Ma la sua, fin dall’inizio, era una posizione debole, al cospetto di chi, invece, le idee le aveva già chiare e aveva scelto uomini esperti per portarle avanti. Non soltanto sul piano sportivo. Perchè, checché possano pensare i tifosi preoccupati dall’addio annunciato di Di Piazza, Mirri ha le potenzialità economiche, le idee e i collaboratori, ma anche contatti e rapporti, per portare avanti il suo progetto, in campo e fuori.

Qual era, invece la strategia del “socio americano”? A cosa gli serviva quella quota minoritaria e quel ruolo da numero due? Inutile parlarne, in ogni caso e’ naufragata e le parole del comunicato post cda del club lo hanno detto con chiarezza, seppur con diplomazia.

In cosa ha inciso, in dieci mesi, lo zio Tony? In nulla, lo ha ammesso lui stesso, con dolorosa presa di coscienza: il progetto e’ andato avanti per come era stato deciso a Palermo, senza spesso coinvolgerlo (parole di Di Piazza, per come, almeno le interpreto io). Persino l’arrivo di Felici, che per l’italoamericano era merito del suo rappresentante Paparesta, è stato contestato da Sagramola, non la prima e non ultima divergenza tra i due, e ulteriore ridimensionamento del ruolo e del peso di Di Piazza nelle scelte societarie, compresa quella sul destino di Pergolizzi, che lui ha saputo a cose ormai fatte.

L’ex vicepresidente resta consigliere, perché ha in mano il 40% delle quote. Che vuole vendere. Vorrebbe, sarebbe meglio. Perché e’ tutto da dimostrare che riuscir° a venderle. Chi farebbe un investimento, oggi, con la prospettiva di restare socio di minoranza in un club e di replicare la sua esperienza?
Mirri lascia intendere di voler comprare quelle quote, ma sara’ alle sue condizioni, tenuto conto del fatto che già cosi’ ha le leve del comando e che il tempo gioca a suo favore.

L’impressione è che Di Piazza resterà prigioniero della sua strategia che oggi risulta perdente, di una mossa istintiva dettata dalla passione, dal richiamo delle radici, che non lo hanno portato a nulla. Potrebbe restare socio del Palermo suo malgrado.

Dispiace per l’uomo, ma il progetto va avanti. Il comunicato della società lo dice chiaramente e allo sfogo di Di Piazza non ci sono state repliche. Perché chi vince non ha bisogno di dire altro, per lui parlano i fatti, quelli che abbiamo visto e quelli che vedremo a breve, già forse nell’assemblea dei soci convocata per i prossimi giorni. Li’, conosceremo la versione di Mirri sulla vicenda.

Articoli correlati