Il gip Cristina Lo Bue ha respinto la richiesta di scarcerazione avanzata dai due poliziotti accusati di aver fornito informazioni riservate ad uno spacciatore, al quale avrebbero poi affidato almeno 25 chili di droga che avrebbero sottratto dopo due grossi sequestri per piazzarli sul mercato.

Fabrizio Spedale e Salvatore Graziano, i due agenti della squadra mobile arrestati lo scorso 4 ottobre dai loro stessi colleghi, dopo essersi avvalsi della facoltà di non rispondere durante gli interrogatori, hanno poi chiesto di essere sentiti. Hanno raccontato davanti al gip la loro versione dei fatti, respingendo le accuse, e chiedendo la revoca della custodia cautelare. Istanza che è stata però respinta dal giudice.

Gli avvocati dei due, Enrico Sanseverino e Salvatore Sansone, hanno già proposto ricorso al tribunale del Riesame, ma per il momento i due poliziotti, così come il pusher, Ignazio Carollo, difeso dall’avvocato Riccardo Bellotta, restano in cella. L’udienza davanti al riesame è fissata per il 18 dicembre.

Un altro filone

Ma è scontato che, su questo filone, siano in corso una serie di approfondimenti. Del resto, nella stessa ordinanza che ha portato all’arresto dei due agenti, il giudice Cristina Lo Bue ha messo in evidenza come “dalle intercettazioni emerga un’anomala familiarità con Carollo (il pusher, ndr), anche da parte di altri colleghi in servizio e in contatto con Spedale (e che erano) al corrente dello speciale legame tra quest’ultimo e lo spacciatore”, poi arrestato. Su questa parte dell’inchiesta, diretta dal procuratore Maurizio de Lucia con l’aggiunto Paolo Guido, c’è ovviamente il massimo riserbo.

Le conversazioni

Non a caso gli inquirenti riportano la conversazione tra Spedale e un altro poliziotto – un assistente capo – da cui emerge il timore da parte di quest’ultimo che, in seguito all’arresto di Carollo, si sarebbe potuto scoprire che lo spacciatore custodiva sul proprio cellulare il suo numero di telefono. Una circostanza che avrebbe potuto mettere in allerta i superiori, anche se la giustificazione era pronta: “Se dovessero vedere il mio numero non succede niente», spiegava il collega a Spedale, perché «vabbè, dico io, è una persona che conoscevo, che mi faceva dei traslochi”.

 

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