Scelto per Voi in occasione della ricorrenza del 25mo anniversario della morte di Giovanni Falcone ecco un breve stralcio della riflessione del giornalista Nino Amadore pubblicata sul Blog de ilsole24ore.

I collaboratori di giustizia ci sono. Ci sono le procure distrettuali antimafia. Ci sono forze di polizia specializzate e centralizzate che riescono a mettere insieme tutti gli indizi che poi costituiscono le prove contro la mafia e c’è la direzione investigativa antimafia. Eppure, a 25 anni di distanza dalla strage che costò la vita a Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della sua scorta, qualcosa del “metodo-Falcone” e della sua grande intuizione (“Segui il denaro per trovare la mafia”) ancora non gira per il verso giusto e necessita di una messa a punto.
Non è un caso che, nonostante sia ritenuto uno dei sistemi più avanzati di lotta alla criminalità organizzata, il sistema penale italiano mostri ormai segnali inequivocabili di inadeguatezza. Di certo c’è qualche problema legislativo. Ma questa non è la sola debolezza in un contesto in cui le organizzazioni criminali stanno provando a cambiare pelle e, in qualche caso, ci sono persino riuscite. Perché se è vero che la grande emergenza era e resta l’ala militare delle organizzazioni mafiose, capace con il suo carico di violenza di piegare interi territori, è anche vero che restano aperte alcune questioni su fronti che solo apparentemente hanno poco a che vedere con le mafie. Appare evidente, infatti, che soprattutto negli ultimi anni è stato costruito nel nostro Paese un nuovo paradigma criminale al cui interno la forza dell’intimidazione e il vincolo associativo, due elementi chiave dell’articolo 416 bis, non sempre emergono con chiarezza.

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