“Non mi ha ucciso la mafia ora mi uccide un organo dello Stato”. Ignazio Cutrò e la sua famiglia non potranno più contare sulla protezione di una scorta. L’imprenditore di Bivona, in provincia di Agrigento, ha contribuito con le sue deposizioni alle indagini processo “Face – Off” contro la mafia della Bassa Quisquina. Ma ora il testimone di giustizia si vede revocare dalla Commissione centrale del ministero dell’Interno per le misure.

Secondo questa commissione sarebbero venute meno le esigenze che avevano determinato le misure di protezione nei confronti di Cutrò e della sua famiglia.

“Non appena ho appreso la notizia – racconta Cutrò a BlogSicilia – la pressione mi è schizzata alle stelle, ho avuto un malore e per un quarto d’ora ho perso i sensi”.

Cutrò, insieme agli altri testimoni di giustizia da circa un anno, grazie una legge fortemente voluta dal governatore Crocetta, è stato assunto dalla Regione Siciliana e lavora in una sede decentrata non resa nota per motivi di sicurezza. “Per giustificare la revoca della mia scorta la commissione centrale ha indicato il fatto che da quando lavoro in un ufficio regionale non è successo nulla, presupponendo che non esistono più rischi per me e la mia famiglia

L’imprenditore, negli ultimi anni, si è reso protagonista inoltre di una serie di azioni di protesta plateali per ottenere il riconoscimento dei diritti dei testimoni di giustizia e denunciare anche le carenze delle misure di sicurezza, ed è stato quindi più volte intervistato da media a diffusione nazionale. “Interviste che secondo la commissione centrale dovevano essere autorizzate, ma il regime di testimone di giustizia in mi cui mi trovo non lo prevede”.

All’imprenditore di Bivona non resta adesso che ricorrere al Tar. Il suo legale, l’avvocato Katia La Barbera, ha infatti annunciato che una volta esaminato il provvedimento deciderà se presentare un ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio.