Totò Riina ha la “piena capacità di intendere e di volere” e quella di “stare in giudizio”. Lo hanno deciso i giudici milanesi respingendo la richiesta della difesa di sospensione del processo, nel quale è imputato per minacce al direttore del carcere di Opera, e anche l’istanza di una perizia per valutare la capacità processuale.
Il Tribunale nell’ordinanza ha evidenziato che nella relazione dei medici di Parma viene scritto che il boss è “vigile” e “collaborante”.
Nella relazione, firmata dal primario Michele Riva, da un lato viene chiarito che “si tratta di un paziente estremamente fragile per l’età e per le numerose comorbilità da cui è affetto”, che soffre di una “cardiopatia ipocinetica post-infartuale” di “tale entità da condizionarne ogni attività”, la quale “espone costantemente il paziente al rischio di morte improvvisa”.
E ancora: “E’ completamente dipendente in tutti gli atti quotidiani, ad eccezione dell’alimentazione” ed “è sempre più difficile comprendere quanto dice”, soprattutto “per esaurimento della capacità fonatoria”.
Dall’altro lato, tuttavia, al di là del quadro clinico descritto dettagliatamente nella relazione (Riina è ricoverato
nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma dal 25 gennaio 2016), “allo stato attuale – scrive Riva – il degente è vigile e
collaborante, discretamente orientato nel tempo e nello spazio”.
Ed è questa la parte della relazione che il collegio della sesta sezione ha valorizzato per valutare la capacità dell’imputato di stare in giudizio, ossia di comprendere di essere sottoposto ad un processo penale. Nell’ordinanza, infatti, il presidente Raffaele Martorelli ha chiarito che ciò che andava valutato nel processo milanese è appunto la capacità processuale e non questioni sulle condizioni di salute e sul regime detentivo (il boss è in regime di 41bis nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma) di cui si sta occupando il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, dopo che la Cassazione ha affermato “l’esistenza di un diritto di morire dignitosamente” e ha stabilito che la Sorveglianza aveva omesso di considerare “il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico”.
I giudici milanesi, dunque, dovevano valutare la “condizione psichica” del capo di Cosa Nostra e basandosi sulla relazione
medica, ritenuta “esaustiva” (non c’è bisogno di altre acquisizioni o di una perizia), hanno accertato la sua capacità
di intendere e volere e di stare nel processo malgrado la “età avanzata” e le “patologie”.
Per i giudici, in sostanza, Riina “comprende” ciò che succede e i processi a suo carico, mentre i difensori avevano fatto notare che oggi aveva rinunciato a essere collegato in videoconferenza per l’udienza “perché firma le dichiarazioni senza comprenderle”. Il processo proseguirà il 17 ottobre con l’audizione del direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano, parte civile.
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