Al 41-bis non è negata l’assistenza sanitaria. I medici devono assistere e avere cura delle persone indipendentemente dalla pena e dal reato. In Calabria abbiamo molti 80enni in carcere”.

A parlare è Luciano Lucania, presidente di SIMSPe (società italiana di medicina e sanità penitenziaria) ai microfoni di Radio Cusano Campus nel corso del programma “Genetica Oggi”.

“Dobbiamo sempre ricordare – ha detto – che dal 2009 l’assistenza sanitaria in carcere è di piena competenza del SSN.
Questo consente di poter avere a disposizione degli strumenti maggiori di quelli che si potevano avere prima per l’assistenza sanitaria ai detenuti. Grazie ad un accordo del 2015 è possibile offrire, secondo le tipologie degli istituti penitenziari, una assistenza sanitaria via via crescente in base alle patologie del detenuto”.

“Al 41bis in linea di massima succede lo stesso. Al 41-bis non è negata l’assistenza sanitaria – spiega il dottore – Ci sono però delle cure che non possono essere fatte in carcere, per esempio gli interventi chirurgici che devono essere fatti in ospedale. Ci sono delle cure che sono integrate fra ospedali e carcere, per esempio quelle che prevedono la dispensazione di alcuni farmaci di tipo biologico che richiedono una prescrizione ospedaliera, il detenuto dunque deve andare in ospedale per fare quel percorso diagnostico che gli permette di utilizzare questi farmaci. Altre situazioni nelle quali la condizione clinica del detenuto porta una incompatibilità alla detenzione, una situazione talmente grave dove si verifica la proposta di scarcerazione valutata poi dalla magistratura”.

“Non conosco la condizione clinica di Riina. Il principio però a cui si è ispirata la Cassazione ha un valore generale: la riflessione non è se questi individui possono o meno essere scarcerati ma se la pena dell’ergastolo in quanto tale continua ad avere il suo valore e il suo significato. I medici devono assistere e avere cura delle persone indipendentemente dalla pena e dal reato. Il medico assicura secondo le regole il massimo dell’assistenza possibile. Il problema di fondo non è la persona. Pensiamo ai carcerati in generale. In Calabria abbiamo molti 80enni in carcere. Sono pazienti fragili, anche se in condizioni buone di salute, che rendono difficile il percorso detentivo”, conclude Lucania

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