‘Che un governo arrivi presto è la prima speranza’, si diceva fino all’altro ieri fra i corridoi dei palazzi del potere siciliano. Serve un governo nel pieno dei poteri per presentare il conto della Regione siciliana che vuole un riequilibrio dei propri introiti e del contributo al risanamento della Finanza pubblica.

Proprio il contributo al risanamento della Finanza pubblica pagato dalla Sicilia secondo il governo Musumeci è sproporzionato per effetto degli accordi sottoscritti da Crocetta. Complessivamente fra Regione, ex province e comuni si parla di 5 miliardi e 700 milioni nel triennio 2015/2017. Somme insostenibili a fronte delle quali Palermo chiederà la disdetta degli accordi e il rispetto delle prerogative autonomistiche come preannunciato in Conferenza delle Regioni.

Una politica che sta alla base delle azioni di governo regionale ma una politica che ora rischi di sbattare contro l’inesistenza di un governo nel pieno dei suoi poteri. La mancata formazione del governo, dunque, rischia di avere conseguenze deleterie anche per la Sicilia sia in via diretta che in via indiretta. Come si può, infatti, chiedere la disdetta degli accordi al governo Gentiloni che prima di tutto è la naturale prosecuzione di quel governo che gli accordi capestro sottoscritti da Crocetta ha voluto e firmato e poi è in ordinaria amministrazione dunque non potrebbe neanche volendo attivarsi sulla disdetta in nessun senso o direzione?

Con la mancata formazione di un governo che sembrava in dirittura d’arrivo, dunque, assume ancora maggior importanza il rendiconto generale della Regione e le scelte fatte in sede di invio all’Ars per l’approvazione. A iniziare dalla cartolarizzazione e dall’uso delle risorse che ne derivano.

Dalla rottamazione delle cartelle esattoriali la Regione ha incassato, infatti, 365 milioni di euro nel 2017, come si evince dal rendiconto, e ha previsto di incassarne circa 600 milioni nei prossimi anni. Un bel tesoretto che avrebbe dovuto essere utilizzato per abbattere l’indebitamento. Così è stato per il 2017. Per gli anni successivi invece il governo Musumeci cancellando 650 milioni di euro di residui attivi dal rendiconto 2017 può iscrivere per competenza le entrate da rottamazione per 2018 e successivi per finanziare così nuova spesa. Il risultato di questa manovra è che anziché abbattere il debito di 650 milioni è stato finanziata nuova spesa per un pari importo.

Una piccola boccata d’ossigeno all’operatività delle casse regionali che però frena il percorso di riduzione della spesa pubblica anche se questo percorso, a sua volta, non aveva frenato l’indebitamento. La spesa corrente della Regione siciliana era, infatti, diminuita di quasi il 26% nel 2017 ma nonostante ciò il debito è aumentato. I debiti fuori bilancio che la Sicilia dovrà onorare ammontano a 44 milioni e mezzo di euro e per farlo la giunta Musumeci ha dovuto approvare un apposito disegno di legge che iscrive queste partite a bilancio. Il ddl sarà presentato insieme al rendiconto generale della regione che andrà in discussione a breve essendo stato approvato dall’ultima giunta di governo.

Un documento in chiaroscuro che da un lato dimostra una contrazione della spesa pubblica di oltre un quarto rispetto al passato ma dall’altro denuncia proprio che la cartolarizzazione non è stata sufficiente ad aumentare le entrate per compensare il contributo alla Finanza pubblica preteso da Roma che rende quasi impossibile far quadrare i bilanci.