I gravi motivi di salute “consentono di escludere ogni ipotesi di dolo o colpa grave a carico del contribuente”.
Le sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Entrate nell’avviso d’accertamento, quindi, non sono dovute. Ad affermarlo è una recente sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia chiamata a decidere del ricorso in appello di un cittadino, difeso dall’avvocato tributarista Alessandro Dagnino.
Le questioni sottoposte ai giudici riguardavano un avviso d’accertamento del 2011. Con l’atto l’Agenzia delle Entrate ha contestato al contribuente di non avere dichiarato il guadagno di circa 30mila euro ottenuto dalla vendita di un terreno edificabile. L’Erario ha chiesto così al cittadino di pagare le imposte non versate, gli interessi e le sanzioni. Per gli uffici tributari, infatti, la grave malattia del cittadino non poteva essere considerata una causa di forza maggiore così da scusare il mancato assolvimento dell’obbligo fiscale. Tale soluzione non è stata però accolta dal giudice tributario che ha invece apprezzato come la mancata dichiarazione non fosse il risultato di una precisa volontà di eludere il fisco.
“La sentenza – ha affermato l’avvocato Dagnino – segnala un notevole punto di diritto in materia di tutela del contribuente che per comprovate ragioni di salute non ha potuto assolvere agli obblighi fiscali. La pronuncia – ha aggiunto – assume un particolare rilievo alla luce dell’emergenza epidemiologica in corso e del dibattito sulle scadenze fiscali che nelle scorse settimane ha interessato l’opinione pubblica. Infine – ha concluso Dagnino – va considerata l’importanza della decisione che, arrivando da un giudice d’appello regionale, segna un orientamento destinato ad assumere valore in tutta la Regione”.
Ma nella pronuncia del collegio, composto dai giudici Fabrizio Amalfi, Giuseppe Lo Torto e Settimo Puccio, emerge un secondo principio. Secondo i magistrati, infatti, nel calcolo della plusvalenza (così si chiama tecnicamente il maggiore guadagno che si ottiene dalla vendita di un bene) va sottratto il valore degli interessi che si sono pagati per “accollo” del mutuo. Può accadere infatti che – nell’accordo di compravendita di un immobile – chi compra, a fronte dell’esborso di un prezzo minore, decida di caricare su di sé il mutuo acceso dal venditore per il pagamento di quell’edificio o terreno. Al compratore toccherà dunque pagare le rate del debito rimanenti e i relativi interessi. Quest’ultimi pertanto dovranno essere considerati come una parte del prezzo senonché, per l’Agenzia delle Entrate questa voce di costo non causava un minore guadagno dell’operazione immobiliare. Dello stesso avviso non è stata, però, la Commissione tributaria che sul punto ha stabilito: “La quota relativa agli interessi costituisce parte del prezzo di acquisto”.
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