Renato Cortese e gli altri poliziotti, tra cui Maurizio Improta, coinvolti nel processo per le presunte irregolarità compiute nel rimpatrio di Alma Shalabayeva nel maggio del 2013 avevano già “titoli per fare carriera di ben più elevata consistenza e validi a prescindere da eventuali avvicendamenti ai posti di comando del Ministero dell’Interno” rispetto a una eventuale “fiche” ipoteticamente legata alle presunte irregolarità compiute nel rimpatrio di Alma Shalabayeva.

Lo sottolinea la Corte d’appello di Perugia che ha assolto lui e gli altri imputati dopo la condanna in primo grado e controbattendo proprio a una delle argomentazioni alla base di quella decisione.

Le parole della Corte d’Appello

“Ma è seriamente credibile – domanda provocatoriamente la Corte nelle motivazioni – che il Cortese o altri, pensando a una fiche da spendere in futuro e con l’ovvia incertezza di poterla concretamente incassare, per ciò solo si resero disponibili a commettere un vero e proprio campionario di nefandezze culminato in un ‘crimine di eccezionale gravità’?”.

Le rivelazioni

La possibilità di trovare in rete dati dai quali dedurre che Mukhtar Ablyazov fosse un perseguitato politico “era pari, se non ragionevolmente assai inferiore, a quella di imbattersi nella notizia che, per risanare la banca prima in mano sua, il governo del Kazakhstan dovette effettuare versamenti per 3,58 miliardi di dollari americani”.

Lo scrive la Corte d’appello di Perugia nelle motivazioni (345 pagine firmate dal presidente Paolo Micheli) della sentenza con la quale sono stati assolti tutti gli imputati per le presunte irregolarità legate al rimpatrio della moglie Alma Shalabayeva e della figlia.

Il collegio sostiene che in primo grado quel Paese era stato descritto come «messo all’indice, nella comunità internazionale,
perché violava i diritti umani anche praticando la tortura e l’eliminazione fisica degli oppositori». Si chiede quindi «per
quale singolare ragione, Cortese, Improta o chicchesia avrebbero dovuto ‘compiacerè un regime che il mondo intero aveva messo al bando?».

Nella motivazione viene quindi citata una deposizione di Alessandro Pansa secondo il quale nel 2013 “dal comitato Onu per
i rifugiati non erano pervenute segnalazioni negative su quello Stato”.