Per quasi 40 anni ha cercato la verità in lungo e in largo, tra depistaggi e maldicenze. Francesca Bommarito è la sorella di Giuseppe Bommarito, appuntato dei carabinieri ucciso il 13 giugno 1983 a Palermo in via Scobar assieme al capitano Mario D’Aleo e al carabiniere scelto Pietro Morici.

Una strage che rientra in quella guerra dichiarata da Cosa nostra allo Stato su cui però, per molti anni, è calata una nube densa di silenzio e disinteresse. Per molti Giuseppe era morto “per caso”, anche se la mafia aveva riservato solo per lui il fuoco della lupara.
Francesca, indossando i panni di una detective, ha inseguito quella verità sentendo ex colleghi del fratello, ufficiali, magistrati, lottando con ogni mezzo per restituire dignità e rendere giustizia al fratello e a quelle vite spezzate.

Una storia che ha trovato il coraggio di raccontare adesso in un libro, “Albicocche e sangue” (Ed. Iod), prefazione del consigliere togato al Csm Nino Di Matteo, che sarà presentato oggi alle 19 all’Enoteca Galante a Balestrate, provincia di Palermo, il paese in cui era nato e cresciuto l’appuntato Bommarito e la sua famiglia. Presente anche il giornalista e scrittore Daniele Billitteri.

Attraverso la ricostruzione dei fatti e inseguendo prove e testimonianze, l’autrice ripercorre anni di dolore e ingiustizie, toccando i temi della lontananza dovuta all’emigrazione, dell’amore per la propria terra, del silenzio della società civile fino al suo risveglio, del senso del dovere di tanti carabinieri negli anni delle guerre di mafia. E arriva alla conclusione che se mai una parte dello Stato è scesa a patti con la mafia, ci sono state persone coraggiose come Giuseppe che hanno messo a rischio e perso la propria vita per difendere questa terra rinunciando a ogni forma di trattativa.

“Dopo Una lunga ricerca e complica ricerca per capire perché mio fratello fosse stato ucciso con la lupara sono riuscita a ricostruire una verità ancora che non soddisfa in pieno – dice la sorella – ma che smonta il depistaggio iniziale che Giuseppe fosse stato ucciso per caso anzi era soprattutto lui nel mirino della mafia per le indagini che aveva condotto e per quello che aveva visto”.