C’è sempre un sottile confine nel dilagante razzismo quando si giudicano le scelte alimentari di altri paesi. Critichiamo Cinesi e Vietnamiti che mangiano carne di cane, ma divoriamo non meno empatici agnelli fino a 3,5 milioni per singola Pasqua. Inorridiamo per chi si nutre abitualmente di insetti e non consideriamo chi inorridisce nel vederci mangiare piccoli gasteropodi un po’ bavosi, come nel caso delle lumachine (bollite vive). Per non parlare delle pinne di Squalo, in realtà in buona parte pescate, per i mercati orientali, da marinerie Europee e Americane.

Noi, invece, gli Squali li mangiamo interi, alla faccia della “ferocia” con la quale apostrofiamo i pesci cartilaginei (Squali come Razze, anch’esse mangiate). Gli Italiani, poi, sembrano essere i primi consumatori Europei.

Per evitare di confonderci con abitudini di altre parti del mondo, meglio non chiamarli Squali. Inteneriamo il concetto, chiamandoli Gattuci e Palombi, oppure banalizzandoli con analogie zootecniche (Pesce Vacca e Vitello di Mare) o indefinibili nomi come nel caso della Verdesca e dello Spinarolo.

Tutti pesci dal nome più o meno dolcificato che entrano comunemente nella cucina Italiana, ma in realtà assolutamente Squali, con buona pace dei protezionisti che chiedono da tempo di considerarli come animali avviati all’estinzione e per questo da proteggere.

In pochi sanno che la Verdesca è lo Squalo blu così come il Pesce vacca è lo Squalo capopiatto. Vi sono poi i Gattucci ed i Palombi anch’essi certamente Squali. “Feroci” oppure no, secondo umana classificazione, ma di certo divorati e pure in enormi quantità. Animali sempre più giovani, come nel caso dei Palombi mostrati nella foto scattata in una pescheria del mercato Palermitano di Ballarò. Non solo Palermo, comunque. Il Palombo presenta in Italia una incredibile varietà di ricette regionali. Olive, limoni, capperi, vino bianco accompagnano l’innominabile Squalo lungo una strada che lo sta conducendo all’estinzione.

Per l’IUCN (International Union for Conservation of Nature), il Palombo è classificabile come specie “Vulnerabile”, ossia incorrono per lui quelle condizioni prossime ad un alto rischio d’estinzione.

E’ sempre l’IUCN ad elencare gli studi sulle diminuizione delle catture che appaiono insostenibili tanto da consigliare la riduzione dei prelievi. Purtroppo, anche da questo punto di vista, gli Squali sembrano dovere patire una pessima considerazione da parte di chi, definendoli “feroci”, li divora senza limiti. Le previsioni di protezione per ora decise dalla Convenzione di Washington, che regolamenta il commercio internazionale di specie rare e minacciate d’estinzione, sono del tutto insufficienti. Anzi sembrano proprio ignorare il “ferocissimo” predatore vittima, però, di un predatore ancora più feroce di lui.

Intanto a Ballarò, come in altre pescherie Palermitane, il Palombi fanno indesiderata mostra di se. I turisti li fotografano, chissà se divertiti oppure no. Il Palombo, dal canto suo, pescato dalle profondità di un mare sempre più povero, potrà finire in una pentola come in una cartolina ricordo.

Piccolo particolare. Il Palombo, qualora lasciato in pace, potrebbe raggiungere dimensioni superiori ai due metri. Quelli che si pescano, però, sono sempre più piccoli. Le reti non danno scampo e quelle dimensioni, ormai, non si trovano quasi più. Per chi desideroso di una prospettiva diversa, basta recarsi presso il Museo Pietro Doderlein dell’Università di Palermo, sito in via Archirafi. Vi è una collezione unica  di pesci. Si rimane colpiti, come riferiscono le stesse guide del Museo, dalle dimensioni di Dentici, Orate, Anguille, finanche Storioni (vivevano nell’Oreto) e numerosissimi Squali, pescati nel Golfo di Palermo. Sono di grandi dimesioni. Il motivo risiede nel fatto che quella del Museo Doderlein è una collezione antica. Di quelle misure non se ne trovano più. Forse vengono mangiati prima.

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