Pioggia di disdette di ordini di prodotti agricoli e alimentari siciliani da parte degli importatori americani. Il sistema dei dazi annunciato da Trump ha, come primo effetto, la disdetta degli ordini ricorrenti degli importatori soprattutto riguardo l’olio. Per la Sicilia si profila un disastroso meno 50% sul fronte della vendita negli Stati Uniti.

I calcoli della CGIA di Mestre

Per l’esportazione siciliana si profila un danno da un miliardo di euro e l’Isola rischia di essere la Regione italiana che paga più a caro prezzo l’arrivo dei Dazi americani.

I calcoli li ha fatti il centro studi Cgia di Mestre. Si tratta di una proiezione, in scala regionale, delle stime elaborate a livello nazionale dal nuovo report, che per tutta Italia ipotizza una perdita fra i 30 e i 35 miliardi rispetto ai quasi 65 guadagnati con le esportazioni in America, ossia un calo tra il 46 e il 54% sul totale: incidenza che, rapportata all’Isola, comporterebbe un crollo compreso della bilancia dell’esportazione.

Il rischio di un buco ancora più grande

Se le proiezioni si fermano a mezzo miliardo di perdita diretta nelle vendite, c’è da considerare anche le perdite indirette che raddoppiano il danno. E potrebbe perfino andare peggio visto che le stime di crescita inserite in tutti gli studi sul Sud Italia e sulla Sicilia parlano di performance che potrebbero replicare  il 2023, quando il giro d’affari verso gli States arrivò a 1 miliardo e 264 milioni. Performance che si fermerebbero all’applicazione dei dazi del 30% se verranno imposti così cime annunciati.

La preoccupazione del coordinamento delle Partite Iva

Vedono la situazione nera anche dal coordinamento delle Partite Iva siciliane  “La Sicilia, isola del sole e dei prodotti agroalimentari irripetibili per la loro peculiarità, subisce la concorrenza sleale delle merci che arrivano dai paesi in cui non devono sottostare alle assurde regole dell’Europa e
dove non esistono diritti per i lavoratori e la tassazione è decisamente inferiore – dicono dal coordinamento – ma non basta. La Sicilia subisce anche lo svantaggio dell’insularità che determina maggiori costi di produzione, di trasporto, di energia e di altre utenze”.

L’aspetto che deve allarmare è il continuo aumento, in termini percentuali, dell’inflazione, i costi dell’insularità che discriminano le piccole e medie imprese e il progressivo impoverimento dei siciliani – dice Matria Francesca Briganti – La partita per la produzione agroalimentare siciliana si gioca proprio nel salvare l’isola dalla sua stessa condizione che, sembrerà strano, ma da tale svantaggio può averne un grosso vantaggio in termini di competitività”.