A sessanta anni dalla Strage di Ciaculli, Talk Sicilia dedica una puntata speciale al ricordo di quel drammatico episodio che costò la vita a sette funzionari dello Stato. L’attentato avvenne nella borgata agricola di Ciaculli a Palermo il 30 giugno 1963 con un’Alfa Romeo Giulietta imbottita di esplosivo. Le vittime furono il tenente dei carabinieri Mario Malausa, il maresciallo di P.S. Silvio Corrao, il maresciallo dei CC Calogero Vaccaro, gli appuntati Eugenio Altomare e Marino Fardelli, il maresciallo dell’esercito Pasquale Nuccio, il soldato Giorgio Ciacci. L’episodio fu uno dei più sanguinosi durante gli anni sessanta che concluse la prima guerra di mafia della Sicilia del dopoguerra, che vide le uccisioni di numerosi mafiosi.

“Una lunga scia di sangue”

Per riannodare il filo della memoria, a Talk Sicilia è intervenuto Carmine Mancuso, presidente dell’Associazione Vittime dimenticate di mafia. L’analisi di Mancuso punta a contestualizzare quell’episodio in una dimensione storica: “Dobbiamo premettere che la lunga scia di sangue che percorre come un filo rosso la storia d’Italia, soprattutto dell’Italia repubblicana, è costellata di stragi, delitti, soprusi, sopraffazioni. Ed è una storia purtroppo collegata con la mafia. La prima strage, quella di Portella delle Ginestre del primo maggio 1947,  è avvenuta quando la  Repubblica era ancora sul nascere”.

“Ciaculli, una strage anomala”

Mancuso collega funzionalmente gli episodi cruenti che hanno costellato la storia della Sicilia del secondo dopoguerra: da Portella a Ciaculli per arrivare sino a Capaci ed a Via d’Amelio. Con parecchie similutidini ma anche con notevoli differenze: “Portella è una strageprettamente di marca politica. Quella di Ciaculli, invece, è una strage che si può dire per certi versi anomala, perché è una strage che ha una connotazione esclusivamente mafiosa, perche poi determinò gli assetti del futuro potere mafioso.  Proprio per questa matrice esclusivamente mafiosa, quella di Ciaculli è anche una strage dimenticata”.

A Ciaculli un attacco allo Stato?

“La Strage di Ciaculli  coinvolse tutte le forze istituzionali presenti sul territorio che combattevano la mafia nel suo insieme, furono colpiti sette sette umili servitori dello Stato, tra cui quattro carabinieri e un maresciallo. La pubblica sicurezza allora si chiamava così e due membri dell’Esercito italiano”

Il contesto della Strage di Ciaculli

La strage va inquadrata nel contesto storico in cui si svolse. Nel 1962 muore improvvisamente Lucky Luciano,  il capo della mafia italoamericana che aveva favorito lo sbarco degli alleati.  Nel momento in cui muore Lucky Luciano il processo storico avanza. Non c’è più la mafia del feudo, la mafia incomincia a diventare cittadina di urbanizzazione, ci sono nuovi commerci, nuovi business.  Tutte queste forze mafiose che erano rappresentate da una parte la mafia cosiddetta di Palermo di Palermo, quindi i Greco di Ciaculli, con Totò Greco che era il capostipite, e tutti i suoi alleati Badalamenti, Bontade, i corleonesi, Buscetta e compagnia cantante. E poi dall’altra parte si opponevano  i fratelli La Barbera che improvvisamente che avevano scalato dal nulla la gerarchia del gotha mafioso a suon di lupara. I La Barbera  si fanno strada  con un esercito di 250 uomini armati. Con la scomparsa di  Lucky Luciano c’è il liberi tutti, perchè non c’è più uomo d’ordine che teneva in pugno tutti quanti. Scoppia la prima guerra di mafia.  Le due fazioni si scontrano per motivi di interesse. Perché era c’era pure in quel momento il commercio della droga che stava facendo diventare la mafia fortissima dal punto di vista economico”.           

Per i piccioli i due rami della mafia palermitana scendono in guerra. E si inizia con le autobomba. Dal 1962 sino al 30 giugno 1963, giorno della Strage di Ciaculli, quattro autovetture salteranno in aria: tre Giuliette Alfa Romeo (l’auto status symbol dell’epoca) e una Fiat 1100. La reazione dello Stato non si fa attendere.  La notte del 2 luglio 1963 Villabate e Ciaculli vennero circondate dalla polizia: furono arrestate quaranta persone sospette e venne sequestrata un’ingente quantità di armi. Questo fu il primo di una serie di rastrellamenti come non si vedevano dai tempi del “prefetto di ferro” Cesare Mori ed infatti, nei mesi successivi, furono arrestate circa duemila persone sospette di legami con Cosa Nostra (finirono in manette boss mafiosi del calibro di Paolino Bontate, Michele Cavataio, Pietro Torretta, Luciano Liggio e tanti altri), altre 600 diffidate e 300 proposte per il soggiorno obbligato, come annunciato dall’allora ministro dell’Interno Mariano Rumor alla Camera dei deputati durante la seduta del 19 settembre 1963. Fu addirittura allertata l’Interpol per la ricerca all’estero dei latitanti mafiosi.  Contemporaneamente, la prima Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, presieduta dal senatore democristiano Donato Pafundi, iniziò i suoi lavori. Secondo il racconto di Tommaso Buscetta e Antonino Calderone, a causa di questa repressione, la “Commissione” di Cosa Nostra venne sciolta e molte cosche mafiose decisero di sospendere le proprie attività illecite.

Le indagini e il processo

Basandosi soprattutto su fonti confidenziali e ricostruzioni indiziarie, le indagini dell’epoca ipotizzarono un mancato attentato preparato dai mafiosi Pietro Torretta, Michele Cavataio, Tommaso Buscetta e Gerlando Alberti contro il rivale boss di Ciaculli Salvatore Greco oppure contro il suo associato Giovanni Prestifilippo, che non avrebbe centrato l’obiettivo perché la Giulietta imbottita di esplosivo bucò i pneumatici e perciò venne abbandonata. Si ipotizzò anche che il vero obiettivo dell’attentato fosse il tenente Mario Malausa a causa delle indagini fatte sui rapporti tra mafia e politica.

Torretta e Buscetta (nel frattempo resosi latitante) vennero rinviati a giudizio per le autobombe di Villabate e Ciaculli ma nel processo di Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia (il famoso “processo dei 117″) vennero assolti per insufficienza di prove, anche se nello stesso processo Torretta venne condannato a 27 anni di carcere per un altro duplice omicidio mentre Buscetta (giudicato in contumacia) a dieci anni per associazione a delinquere.

Nel 1984 Tommaso Buscetta, divenuto un collaboratore di giustizia, si discolperà e dichiarerà al giudice Giovanni Falcone che Michele Cavataio era l’unico responsabile delle autobombe di Villabate e Ciaculli. Tuttavia, ad oggi, rimangono ignoti i responsabili e il movente della strage.

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