Dopo settimane di dolore, rabbia e denunce pubbliche, finalmente un segnale dallo Stato. I familiari dei tre giovani assassinati a Monreale il 27 aprile scorso – Massimo Pirozzo, Andrea Miceli e Salvatore Turdo – sono stati ricevuti alla Camera dei deputati dal vicepresidente Giorgio Mulè.

Un incontro carico di significato, avvenuto nel cuore delle Istituzioni, a cui le famiglie si sono rivolte con dignità e determinazione.

La lettera di Marco Pirozzo e il silenzio delle Istituzioni

A spingere verso questo primo passo è stata la lettera scritta da Marco Pirozzo, fratello di Massimo, indirizzata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Un grido accorato contro l’assenza di risposte, contro un silenzio istituzionale, che ha ferito tanto quanto la tragedia stessa.

“Nessuna parola, nessun gesto, nessuna attenzione da chi dovrebbe rappresentare e tutelare ogni cittadino”, scriveva Marco. La sua denuncia era diretta, aspra, ma mossa da una ferita profonda: “Se oggi consideriamo normale che i nostri giovani vengano ammazzati per strada… allora significa che la guerra ce l’abbiamo già in casa”.

A queste parole ha fatto seguito un appello accorato: più sicurezza, leggi adeguate alla realtà attuale e una giustizia ferma, concreta. Nessun altro, ha chiesto Marco, deve vivere lo stesso dolore.

L’incontro alla Camera

A riceverli è stato Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera. Un gesto forte, simbolico, definito da Mulè con queste parole: “Ho incontrato alla Camera dei deputati i familiari di Andrea Miceli, Massimo Pirozzo e Salvo Turdo, i tre giovani assassinati a Monreale il 27 aprile scorso. Ho avuto modo di ascoltare e confrontarmi con Marco e Claudia Pirozzo, fratello e sorella di Massimo, con Debora Venturella, mamma di Salvo, e con Ignazio, Giacomo e Giuseppe Miceli, padre e fratelli di Andrea. Il loro gesto di venire nel tempio della democrazia per discutere con me è un segnale di profondo rispetto per le Istituzioni che pretende altrettanto rispetto“.

Il vicepresidente ha ascoltato le loro parole, intrise di dolore ma anche di una volontà ferrea di cambiamento: “Nelle loro parole, pronunciate con esemplare dignità e giustificata rabbia, ho registrato e condiviso lo strazio e l’incredulità di una strage assurda e ingiustificabile, la pena e il dolore per la perdita devastante dei loro cari. Insieme abbiamo convenuto sulla necessità che la giustizia sia severa e implacabile nei confronti di tutti i responsabili. Allo stesso tempo tutti i familiari reclamano sicurezza, chiedono risposte forti e soprattutto concrete sul fronte della prevenzione, della repressione e delle leggi per impedire che nuove famiglie conoscano il dolore che li ha travolti”, ha dichiarato Mulè.

L’impegno assunto è concreto: accompagnare le famiglie e tornare a incontrarle presto: “Ho innanzitutto assicurato il mio impegno affinché lo Stato si faccia carico di prendere per mano e assistere, attraverso un impegno reale, le famiglie di chi ha subito questa tragedia”.

Minacce ai familiari delle vittime: “Lo Stato deve garantire sicurezza e giustizia”

Gravissimo e inquietante il dato emerso durante l’incontro: i familiari delle vittime continuano a ricevere minacce e messaggi d’odio sui social: “Ho registrato e letto con profonda indignazione come, ancora oggi, i familiari di Andrea, Massimo e Salvo siano incredibilmente destinatari di messaggi di inaudita violenza e minaccia sui social – coperti dalla viltà dell’anonimato dei mittenti – che trasudano odio. Tutto ciò è inaccettabile, al pari di quel clima che purtroppo alberga ancora nel quartiere Zen di Palermo, da dove provengono i responsabili assicurati finora alla giustizia”.

E poi ha aggiunto: “Sono certo che le forze dell’ordine continueranno in un’azione esemplare che pretende di essere incessante e continua nel contrasto a questa subcultura criminale e allo stesso tempo di prevenzione affinché i cittadini di Monreale possano liberarsi da quella cappa di paura che li accompagna dal giorno della tragedia. Il diritto a vivere tranquilli, la certezza che lo Stato è capace di imporre sicurezza, eliminando qualsiasi sopruso o peggio di irricevibile impunità, sono ulteriori impegni che sento di condividere con i familiari di questa insensata tragedia. Proprio per dare il senso di un’azione non episodica torneremo a incontrarci con i familiari di Andrea, Massimo e Salvo di qui a poche settimane”.

L’incontro con Mulè è il primo segnale concreto di attenzione da parte delle Istituzioni, ma le famiglie chiedono molto di più. Chiedono leggi nuove, pene certe, strade presidiate, Stato presente. E chiedono anche che l’Italia non dimentichi, che non si giri dall’altra parte, che non consideri “normale” quello che è successo. “È il momento di agire. È il momento di cambiare.” – aveva scritto Marco. Ora, almeno, qualcuno ha cominciato ad ascoltare.