“Non ho partecipato attivamente ai rapporti sessuali con la ragazza”. Si è difeso così davanti al tribunale del Riesame di Palermo, Samuele La Grassa, uno dei sette indagati per lo stupro di gruppo avvenuto lo scorso 7 luglio al Foro Italico ai danni di una ragazza di 19 anni.
Ma per la procura la contestazione di violenza sessuale di gruppo non cambia. Nelle scorse settimane anche altre istanze di scarcerazione erano state respinte. Altri tre indagati, Angelo Flores, Gabriele Di Trapani e Christian Barone, i primi ad essere stati arrestati lo scorso luglio, sono infatti rimasti in carcere. Lo stesso è avvenuto per Christian Maronia. E’ fissato nei prossimi giorni l’esame del ricorso di Elio Arnao.
Il minorenne, il più giovane degli indagati (l’unico minorenne tra i sette all’epoca dei fatti), inizialmente era stato affidato ad una comunità, ma poi è andato in carcere per un aggravamento della misura cautelare chiesta dalla procura per i minorenni e accolta dai giudici necessaria dopo la pubblicazione di alcuni video provocatori su TikTok e le nuove prove depositate dai periti dopo l’analisi del cellulare del ragazzo.
Ora vi denuncio tutti, faccio piovere denunce per diffamazione. E’ più o meno questo il contenuto dell’ultimo sfogo della vittima dello stupro del branco a Palermo. Uno sfogo rilanciato, ancora una volta, via social, il mezzo attraverso il quale la ragazza continua a comunicare con i suoi oltre 150 mila follower fra Instagram e Tik Tok.
La vittima non ci sta e reagisce
Non ci sta a farsi offendere, non ci sta a farsi colpevolizzare ed è pronta a denunciare per diffamazione chiunque continui a sostenere che in realtà fosse consenziente ma anche chi la accusa di essere troppo libera e diretta nei suoi video sui social, chi la addita come una poco di buono e così via. Insomma è pronta a reagire anche agli attacchi di una società che tende a colpevolizzare la vittima.
Tante le violenze che non emergono
Intanto la vicenda toglie il tappo ad un fenomeno fin troppo sommerso. A fronte delle tante denunce piovute negli ultimi mesi alle forze dell’ordine, denunce non sempre ritenute credibili, ci sono invece i dati certi dei centri anti violenza.
Di uno di questi si parla questa mattina sul quotidiano Le Repubblica. Un centro nel quartiere Brancaccio realizzato in una struttura e gestito insieme al centro padre Nostro che fu di Don Pino Puglisi, in carico ha una trentina di donne. Dal 2020 ad oggi tante sono le giovani e meno giovani, donne fra I 28 e i 45 anni che si sono rivolte al centro. Numeri molto diversi da quelli delle denunce. ma fra loro ci sono, per lo più, donne vittime di violenze domestiche. E se tante sono assistite molte di più sono quelle che non denunciano, che si affacciano al sistema dell’assistenza ma poi rinunciano. un fenomeno difficile anche per la vergognosa e per una società che continua a colpevolizzare la vittima
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