Sospeso dal Tar di Palermo il canone richiesto dalla Regione ai 500 cavatori. I giudici amministrativi hanno rimesso la questione alla Corte costituzionale poiché i provvedimenti del governo violerebbero le norme costituzionali e principi comunitari.
I proprietari delle cave assistiti dagli avvocati Giuseppe Ribaudo, Francesco Carità, Ester Daina, Venerando Bellomo, Girolamo Rubino, hanno impugnati il provvedimento con cui l’Assessorato Regionale dell’energia formulava nuovi criteri per il pagamento dei canoni per l’attività di estrazione di giacimenti minerari da cava.
Era previsto anche un effetto reatroattivo dei pagamenti. Una manovra che avrebbe permesso alla Regione di incassare circa 5 milioni di euro. Il consorzio dei cavatori che raggruppa al momento 40 titolari di impianto presieduto da Giovanni Palma ha ottenuto lo stop ad un provvedimento ritenuto illegittimo e che non si basava su un principio di equità.
“Le norme regionali – spiega il presidente Palma – avrebbero introdotto un tributo il cui importo prescinde dall’effettiva resa della Cava, in palese violazione con il principio della capacità contributiva previsto dall’articolo 53 della Costituzione. Sarebbe stati violati il principio di uguaglianza, considerato che il medesimo tributo viene applicato nello stesso modo alle cave di materiali pregiati, come quelle di marmo a quelle di sabbia”.
I cavatori sono disposti a pagare un canone ma che sia equo e proporzionato alla resa della cava.
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